Cefalunews,
8 marzo 2020
Giuseppe Pitrè (1841-1916)
fu uno scrittore, letterato e antropologo. A buon diritto definito dai più, lo
storico delle tradizioni popolari di fama mondiale. Già adolescente seguì il
prodittatore Antonio Mordini che portava a Vittorio Emanuele II di Savoia i
risultati del plebiscito del 21 ottobre 1860. Il Pitrè fu Presidente della
Società Siciliana di Storia Patria, della Reale Accademia di Scienze, Lettere e
Belle Arti di Palermo nonché Senatore del Regno d’Italia. Dal 1910 sino alla
sua morte insegnò Demopsicologia nell’Università di Palermo.
Il Pitrè ebbe rapporti di
amicizia con il patriota e letterato termitano Francesco Denaro Pandolfini, ma
soprattutto con il paletnologo, etnologo Giuseppe Patiri, che fu il suo
referente a Termini Imerese (PA). Infatti, il Patiri fornì al Pitrè
informazioni inerenti al folclore termitano, essenziali per la realizzazione
della sua monumentale opera: “Usi e costumi. Credenze e pregiudizi del popolo
siciliano”.Con vero piacere ricordiamo il Dr. Giuseppe Pitrè attraverso la
pagina web dell’Istituto Ricerche Studi Arte Popolare “Agrigentum”
(I.R.S.A.P.), il cui sito internet è un valido ed efficace strumento di accesso
a buona parte del patrimonio storico-letterario-antropologico siciliano.
Giuseppe Pitrè (Palermo
21/12/1841 - 10/04/1916)
Introduzione
Studioso
italiano del folclore e di tradizioni popolari.
Medico e scrittore scrisse i primi studi scientifici sulla cultura
popolare italiana e curò le prime raccolte di letteratura italiana orale, dando
avvio a studi etnografici sul territorio italiano. Fondatore in Sicilia della “demologia” da lui
battezzata “demopsicologia” (psicologia del popolo), ossia la scienza che
studia le manifestazioni, le tradizioni e la cultura di un popolo, che insegnò
all’Università di Palermo.
A
Giuseppe Pitrè, il più importante raccoglitore e studioso di tradizioni
popolari, la Sicilia deve essere grata perché – come ha sottolineato Giuseppe
Cocchiara, già preside della Facoltà di Lettere a Palermo – la sua opera
monumentale resta pietra miliare per la ricchezza e la vastità d’informazioni
nel campo del folklore, in cui nessuno ha raccolto, come e quanto lo scrittore
palermitano.
Egli
anzi, nella seconda metà dell’Ottocento, ha tracciato la via ad altri come
Salvatore Salomone Marino e accolto nel suo tempo consensi vivissimi tra cui
quelli di Luigi Capuana, che trovò materiale per le fiabe nel suo repertorio,
Giovanni Verga, che trasse anche ispirazione per le “tinte schiette” e
particolari usanze del suo mondo di umili e perfino per argomenti specifici d’alcune
novelle come Guerra di Santi, dalla preziosa documentazione a cui Pitrè lavorò
tutta la vita.
Come
il conterraneo Abate Meli, divenne medico di professione e venne, grazie ad
essa, a contatto con i ceti più umili e col mondo dei marinai e dei contadini
tra cui spinto da passioni per gli studi storici e filologici raccolse per
prima i Canti popolari siciliani attinti anche dalla voce della madre che egli
dice “era la mia Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”, dedicandole
appunto la sua prima opera.
Nel
1882 fondò l’Archivio per lo studio delle tradizioni popolari e nel 1894
pubblicò una fondamentale Bibliografia delle tradizioni popolari italiane.
Alla
sua memoria fu intitolato il Museo Antropologico Etnografico siciliano a
Palermo che egli stesso aveva fondato.
La sua Opera
Giuseppe
Pitrè fu formidabile nel raccogliere e catalogare gli ultimi bagliori del mondo
popolare siciliano e non solo siciliano. Prima che radio e televisione
pareggiassero o quasi le differenze culturali. Come hanno ben notato gli
studiosi di etnoantropologia Giuseppe Pitrè si accostò a quel mondo che non era
il suo con sguardo di antropologo e quasi con rispetto di figliolo.
La
Sicilia, la sua storia, il popolo e i contadini siciliani, i loro usi e
costumi, i canti, i racconti, i proverbi, le feste e quant’altro proveniva da
quel mondo fu messo sotto osservazione, ne furono tratti le corrispondenze e
quindi le somiglianze o le evidenti differenze con tradizioni di altri luoghi.
Tutta
la ricerca fu eseguita da Giuseppe Pitrè e dai suoi collaboratori secondo i
canoni degli studi demologici, cioè traendoli dalla viva realtà, dalla viva
voce dei popolani e dei contadini analfabeti.
Questa
sua fatica confluì nei due volumi tra il ‘70 e il ’71 di quella Biblioteca
delle tradizioni popolari siciliane, pubblicata in venticinque volumi fra il
1871 e il 1913, comprendente nelle sue sezioni oltre ai canti, d’amore, di
protesta, legati alle stagioni e culture, giochi, proverbi, filastrocche,
fiabe, feste etc., anche medicina popolare, leggende, il costume nella
famiglia, nella casa, nella vita del popolo siciliano, le pratiche tradizionali
dell’agricoltura, le usanze religiose o superstiziose, tutte le manifestazioni
della cultura orale siciliana e i racconti dei cantastorie.
Ma
ci fu un limite nella selezione delle varie tradizioni, furono scartate quelle
sconce, quelle sguaiate, quelle erotiche che pur erano un filone importante e
fiorente nel panorama di tutte le tradizioni.
Giuseppe
Pitrè e tanti altri studiosi di tradizioni popolari italiani ebbero ripulsione
a riportarle, come se la loro considerazione potesse nuocere a tutta
l’impalcatura delle tradizioni popolari stesse, suonasse cioè come mancanza di
rispetto verso la “patria” Sicilia o la “patria” di ogni singola regione.
Ci
sono ancora nel cuore di Giuseppe Pitrè idee romantiche nei confronti delle
tradizioni popolari, mentre nel pensiero suo più lucido vi è una concezione
evoluzionistica delle culture, nel senso che primitivo si contrappone a moderno
come popolare a colto.
Questo
atteggiamento nei confronti delle tradizioni popolari viene dall’Europa e
innanzitutto dai F.lli Grimm per i quali le fiabe erano “miti decaduti”
provenienti dall’India preistorica degli Arii.
Questi
due studiosi tedeschi intravidero nei racconti popolari “i frantumi di una
antica religione della razza, custodita dai volghi, da far risorgere nel giorno
glorioso in cui, cacciato Napoleone, si risvegliasse la coscienza germanica”
(I. Calvino, Fiabe italiane, p.x). Con queste premesse era arduo raccogliere e
pubblicare collezioni di raccolte di tradizione erotiche.
Ne
sperimentò qualcosa il tedesco Federico Salamone Krauss, direttore di
Anthropophyteia, rivista di tradizioni erotiche, che venne denunciato e
tradotto avanti il Tribunale di Berlino (Raffaele Corso, Estratto dalla rivista
di Antropologia, vol. XIX, Fasc. I-II). E’ indubbio che Giuseppe Pitrè e il suo
illustre collega Salvatore Salomone Marino raccolsero anche queste tradizioni,
ma solo recentemente sono stati pubblicati gli indovinelli sconci del primo e i
racconti faceti del secondo.
In
effetti le fiabe e i racconti popolari hanno interessato tutte le persone di
tutte le età e di tutte le classi o ceti sociali, rozze, raffinate, colte e
incolte. I racconti popolari, da millenni, circolano per le varie culture e
sottoculture e qualche volta hanno trovato dei grandi interpreti-narratori.
Quando
ciò è successo, cioè quando un racconto viene ottimamente performato esso entra
a far parte viva di quel racconto-tipo come variante, e da variante condiziona
in qualche modo per l’appresso tutti gli altri interpreti-narratori del
racconto-tipo.
La
storiella, la trama del racconto continua a vivere e a trasformarsi anche se
negli ultimi secoli è stata quasi cristallizzata dall’avvento della scrittura.
Per nondimeno autori letterari che avevano ripreso le fiabe, prima dei fratelli
Grimm, mai e poi mai le avevano raccontate come se fossero destinate soltanto
ai piccoli.
Giovanbattista
Basile e Charles Perrault non si rivolgevano solo ai piccoli, ma anche ai
grandi.
Il
Pitrè pare a volte consideri i racconti popolari come narrativa per bambini
come era usuale nelle classi colte (Aurora Milillo, prefazione a Fiabe Novelle
e Racconti popolari siciliani di Giuseppe Pitrè).
C’è
appunto il precedente delle “Fiabe del focolare” dei F.lli Grimm, un libro di
narrativa per ragazzi scolarizzati. Giuseppe Pitrè nella scelta-filtro dei
racconti si fa guidare dal “senso comune”.
Scarta
le sconce, ma non disdegna quelle che presentano i costumi del popolo e dei
contadini in maniera paludata.
Ha
repulsione per la sconcezza sguaiata, ma non può fare a meno di presentare dei
racconti che alludono blandamente, come apprezza l’ironia, l’arguzia e
l’intelligenza dei popolani. Ma sempre racconti di villani sono quelli che va
raccogliendo, di gente che vive ai margini, oppressa dai bisogni e che se
riesce a sopravvivere lo deve a un profondo attaccamento alla vita.
Come
sostiene il Cocchiara, l’opera del Pitrè presenta due aspetti, uno storico e
l’altro poetico, rivelando “un’umanità viva e vibrante” per cui egli era
convinto che era giunto il tempo di studiare con amore e pazienza le memorie e
le tradizioni, per custodirle.
Da
questo nacque anche la creazione del Museo Etnografico, dove raccogliere tutti
i materiali e gli oggetti pazientemente ricercati per la Sicilia, che come
detto nell’introduzione, oggi porta il suo nome, è ospitato nella palazzina
cinese, all’interno del Parco della Favorita a Palermo.
Nel
1990 fu chiamato ad insegnare demopsicologia (come lui era solito chiamare il
folklore), quando già aveva acquistato fama e apprezzamenti nell’élite
culturale del tempo. Già nel 1894 aveva, infatti, pubblicato la Bibliografia
delle tradizioni popolari in Italia, intrattenendo rapporti con i più
importanti studiosi specialmente della scuola toscana.
Instancabile
studioso, innamorato della sua terra, scrisse anche Palermo cento e più anni
fa, prezioso ed introvabile volume, e saggi su Meli, su Goete a Palermo, sulla
Divina Commedia, raccogliendo anche novelle popolari toscane.
La
collaborazione con Salvatore Salomone Marino andò oltre, col Lui fondò nel
1880, dirigendola fino al 1906, la più importante rivista di studi sul folklore
del tempo, “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari“, ed intrattenne
una fitta corrispondenza con studiosi di tutto il mondo.
Queste
lettere sono oggi conservate in una sezione del museo etnografico di Palermo e
ad esse continuano a rivolgere attenzione come fonti preziose gli studiosi
contemporanei d’antropologia tra cui Antonio Buttitta.
Per
i suoi meriti e la sua fama fu nominato Senatore del Regno il 30 dicembre del
1914, quando anche in America venivano tradotte e pubblicate le sue opere per
le Edizioni Crane, specialmente i proverbi e le fiabe, la cui radice comune a
tanti popoli egli aveva esaltato rivendicando in una lettera ad Ernesto Monaci
la loro ricchezza linguistica con queste parole: “Che bellezza, amico mio!
Bisogna capire e sentire il dialetto siciliano per capire e sentire la
squisitezza delle fiabe che sono riuscito a cogliere di bocca ad una tra le mie
varie narratrici”.
Da
sottolineare le belle pagine dedicate alle storie dì Giufà (personaggio da lui
inventato) e alle feste popolari siciliane, di cui piene di poesia sono quelle
del Natale e dei Morti.
Cosa successe?
La
prima edizione delle Fiabe ebbe subito dei riconoscimenti internazionali, ma fu
accolta inizialmente dal disprezzo e dallo scandalo di letterati e uomini
rispettabili locali (Aurora Milillo, ibidem).
“Il
dottor Pitrè ha pubblicato quattro volumi di porcherie” scrisse allora la Gazzetta
di Palermo.Lo rammentava lo stesso Pitrè in una lettera del 1914, dove parlava
anche dell’indignazione di clienti rispettabili che gli chiedevano come si
fosse persuaso a pubblicare “quelle storie” dal momento che gli erano affidate
in cura le loro figlie (Raffaele Corso, Reviviscenze. Studi di tradizioni
popolari italiane, p.4).
Alcuni dei Racconti:
Presentiamo
qualche racconto della sua grande collezione di “Fiabe Novelle e Racconti
popolari siciliani”.
Storie
nient’affatto sconce, ma sicuramente piacevoli e argute.
I
racconti sono scritti così come riportati da Giuseppe Pitrè fatta eccezione di
qualche riga di commento.
Le opere
Biblioteca
delle tradizioni popolari siciliane;
Fiabe,
novelle e racconti popolari sicilani;
Grammatica
Siciliana – un saggio completo del dialetto e delle parlate siciliane, 1875
Le
storie di Giufà
Le
storielle di roy
Bibliografia consultata dal redattore
G. Ragusa-Moleti, G. P. e le tradiz. popol., Palermo 1884; M. La Via-Bonelli, L’ultima opera di G. P., ivi 1889; A. De Gubernatis, G. P., Roma 1911; G. Pipitone-Federico, G. P., ivi 1915; G. Leanti, L’opera di G. P., ivi 1916; G. A. Cesareo, G. P. e la letteratura del popolo, Palermo 1916; G. Gentile, Il tramonto della cultura siciliana, Bologna 1917; R. Corso, Folklore: storia, obietto, ecc., Roma 1924: id., Sviluppo stor. dell’etnografia sicil., in Atti II Congr. Naz. di Chimica, Roma 1926; id., Sviluppo stor. del folklore in Italia, in Folklore ital., II (1926); G. Cocchiara, G. P., Roma 1934. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, prefazione di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca di letteratura n.4, Milano, Feltrinelli Editore, novembre 1958, pp. 332. Luigi Di Martino, Il plebiscito del 1860 in Sicilia, Napoli, Adef, 2013.
Bibliografia
e Sitografia:
Giuseppe
Longo 2018, “Il quartiere fuori Porta Palermo e l’infondata
“leggenda” dell’origine del Carnevale di Termini Imerese”, Cefalunews, 24
agosto.
Giuseppe
Longo 2018, “Il binomio Palermo-Termini, tra porte civiche,
manifestazioni carnascialesche e “gustose” leggende metropolitane”, Cefalunews,
22 dicembre.
Giuseppe
Longo 2019, “La rivincita della “vera” storia del Carnevale
Termitano”, Cefalunews, 19 gennaio.
Giuseppe
Longo 2019, “Riflessioni sulla festa carnascialesca di
Termini Imerese l’erede indiscussa dell’antico Carnevale di Palermo”,
Cefalunews, 4 febbraio.
Mario
Grasso 2019, “Termini Imerese. Giuseppe Patiri, da geniale
autodidatta a protagonista della eccellente tradizione di storici, archeologi,
numismatici”, Esperonews.it - 3 dicembre.
Foto
di copertina: da sinistra verso destra, Giuseppe
Patiri e Giuseppe Pitrè.
Giuseppe Longo
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