Cefalunews, 10
aprile 2016
Il 10 aprile di cento anni
fa moriva a Palermo Giuseppe Pitrè il noto etno-antropologo, considerato a gran
voce come il fondatore della scienza folkloristica in Italia. Per ricordare
questo grande studioso siciliano di demopsicologia, autore della “Biblioteca
delle tradizioni popolari siciliane” e fondatore del Museo che porta oggi il
suo nome, pubblichiamo per i nostri lettori la sua biografia, a cura della figlia
Maria D’Alia Pitrè, tratta dal sito internet (www.culturasiciliana.it).
«Terzo di quattro figliuoli, i primi due dei quali morti, l’uno nel
colera del 1837, il secondo a 12 anni disgraziatamente ed improvvisamente
mentre si baloccava in una noria in un giardino presso la casa materna,
Giuseppe nacque in Palermo il 21 Dicembre del 1841 da Salvatore e da Maria
Stabile.
Nato
in mezzo a quel popolo che tutta la sua pratica della vita formula in massime e
sentenze, cresciuto in mezzo alla gente di mare, egli aveva cominciato a
raccogliere proverbi volgari e vocaboli marinareschi. E non gliene mancava il
destro nella infinita esperienza della madre, che fu la sua prima maestra, la
sua guida, il suo conforto, il suo angelo tutelare.
Avendo
potuto acquistare una copia della nota raccolta di Proverbi toscani del Giusti,
provava e piacere e sorpresa di trovarvi – con le debite varianti – riscontri
siciliani, e questo piacere e questa sorpresa comunicava ad un suo parente, pur
esso amante di proverbi.
I
vocaboli marinareschi con le opportune spiegazioni andava mettendo insieme sui
bastimenti ancorati in parecchie andane del Molo, e poi ne cercava i
corrispondenti italiani nei vocabolari.
Non
avea consiglieri né maestri, e dovea fare da sé con fatica infinitamente
maggiore di quella che avrebbe dovuto impiegare se le persone sapute ed esperte
gli avessero detto come fare e dove cercare.
La
sua vita di studente universitario passò tra immensi sacrifici suoi e di sua
madre, alleviati solo dall’amicizia operosa d’un buon sacerdote, Francesco
Coniglio. Era costui palermitano, nativo del rione Borgo nel quale nacque e
crebbe il Pitrè; e frequenti e validi aiuti per riuscire avea ricevuti dal
nonno materno del nostro, Giuseppe Stabile, sicché il virtuoso e venerato uomo
rendeva come poteva alla famiglia del morto benefattore Stabile quel che avea
ricevuto.
La
memoria di lui è sempre benedetta dal Pitrè, memore e grato. Quei sacrifici
sono forse la pagina più interessante della vita del nostro; pagina che molto,
ma molto potrebbe insegnare ai giovani i quali, scontenti di quel che hanno in
casa, sognano agi e imprecano alla sorte che non li consente loro.
Ma
nessuno li conosce quei sacrifici e forse nessuno potrà saperne il segreto a chi
li sostenne nel silenzio delle pareti domestiche. Un fatto, che agli occhi
degli indifferenti può parere appena degno di pochi righi di cronaca di un
giornale politico locale, venne a decidere della vita avvenire del Pitrè: ed
eccolo. Appena laureato egli doveva provvedere ai bisogni della famiglia,
giacché con la morte del padre egli aveva perduto tutto, e la clientela non
s’improvvisa.
Il
suo buon amico Pardi, Direttore del Ginnasio V.E., gli chiese un giorno se egli
volesse accettare la prima classe ginnasiale rimasta vuota per la morte del
Prof. La Porta, ed il Pitrè accettò grato.
La
proposta fu mandata al Ministero, ed il Pitrè venne nominato subito Reggente.
Il neo-professore mise nel nuovo ufficio tutta la coscienza di cui era capace,
e ad anno nuovo venne confermato.
Due
mesi dopo fu nominato Cavaliere della Corona d’Italia e poco dopo (siamo nel
1868) venne un nuovo Provveditore agli studi, certo Girolamo Nisio, frate
sfratato (quel medesimo che un giorno doveva fare veri atti di ribellione verso
il venerato Pasquale Villari) il quale con l’aria di conquistatore cominciò una
ispezione nelle Scuole medie.
Pare
che la sua condotta burlanzosa spiacesse, tanto che il “Precursore” scrisse di
lui parole molto severe. Chi poteva esserne 1’Autore? Chi poteva aver date le
informazioni al giornale? Fu quello che occupò e preoccupò il rodomonte
scolastico. Qualcuno deve avergli sussurrato il nome del Pitrè, forse perché il
Pitrè scriveva cosettine letterarie; e tanto bastò perché il Nisio trattasse
male il Pitrè e – ad ispezione finita – vomitasse contro di lui l’accusa di
ignorante, di inetto e ne proponesse subito la remozione.
Ed
ecco giungere al Direttore Pardi una lettera ufficiale con la quale gli si
intimava di annunziare al Professore della Prima ginnasiale il provvedimento.
Il Pitrè, che già si era affezionato all’insegnamento e non poteva fare a meno
delle 1440 lire annue di stipendio, ne fremette.
Ci
volle del bello e del buono per sapere la ignota ragione dell’odioso e indegno
provvedimento. Chiese di esser sentito, ma da chi. L’autore dell’accusa era
l’autorità scolastica locale.
Corse
dal Direttore del “Precursore” pregandolo che volesse dichiarare l’Autore
dell’articolo o – alla meno peggio – che l’Autore non fosse lui, Pitrè. Il
Direttore non volle farlo, pur confessando la iniquità del Misio: e – come lui
– tacque, come poi si seppe, l’autore dell’articolo, certo Anton Maria Callari,
professore in un ginnasio governativo di Palermo. Otto mesi di ansie e di
dolori resero il giovane, dianzi così entusiasta dell’insegnamento, un freddo
osservatore delle ingiustizie che si perpetrano all’ombra del vessillo della
libertà.
Egli
non riconobbe più se stesso degli anni passati e con nuovi sacrifici si diede
tutto alla professione, agli studi di tradizioni popolari.
Per
via della professione egli aveva nello stesso anno del suo dottorato (30
Gennaio 1866) assistito i colerosi di Palermo nei mesi di Ottobre e Novembre e
con tanto slancio ed abnegazione da esser premiato con diploma ministeriale di
“benemerito della salute pubblica”.
E
per via della professione medesima poté rendersi indipendente e consacrarsi
all’opera che per quarant’anni è stata sua delizia, sua cura, suo conforto. Per
finire… l’ingrato episodio.
Un
giorno al Pitrè giunge un invito del Banco di Sicilia. Allo sportello un
impiegato gli presenta un mandato di £ 800 in compenso di “lavori di
statistica” da lui fatti per incarico del Ministero. Senza commenti!… Non quasi
dopo giungono a Palermo, per una ispezione superiore, d’incarico del Ministero
d’I.P., Paolo Lioy e Fergola, professore della Università di Napoli. Il Lioy,
amico del Pitrè, gli offre a nome del Ministero medesimo un posto di Liceo; ma
il Pitrè, sdegnato, oppose un tagliente rifiuto.
La
nuova vita intellettiva del Pitrè si iniziava con ricerche sulla poesia
popolare siciliana. Il Pitrè ebbe la rara ventura in Sicilia di trovare un
editore intelligente ed ardito in Luigi Pedone Lauriel, il quale capì quel che
voleva il Pitrè e lo seguì senza riserve nell’indirizzo, nuovo allora, del
genere di studi.
È
ben vero che il Pitrè non chiese e non ebbe mai nulla di compenso come, del
resto, non ne chiese e non ne ebbe dai successori del Pedone; ma a quei tempi,
con le condizioni commerciali librarie, fu gran virtù lo assumere le spese, con
incerto rimborso, di quell’opera, virtù di mente e di cuore ispirata dal più
elevato patriottismo. Giacché e bene ricordare che pochi – forse nessuno – fece
quel che fece il Pedone Lauriel: avventurarsi cioè a pubblicazioni d’indole
assolutamente siciliana.
L’essenziale
della sua produzione è costituito dalla collana che egli stesso intitolò come
“Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”: si tratta di 25 volumi che
contengono canti, fiabe, racconti, leggende, poesie, giochi, proverbi, feste,
usi e costumi del popolo di Sicilia. Ma il Pitrè non s’e rimasto alla
Biblioteca.
Egli
ha reso altri ed altri servizi al folklore con L’Archivio, le Curiosità e la
Bibliografia.
Nel
1869 avea fondato col Di Giovanni ed il Salomone Marino le “Nuove effemeridi
siciliane”, rinnovate sulle prime del 1840.
Dopo
due anni di questa nuova serie, una seconda ne fu pubblicata di studi letterari
generali. Compresero i tre condirettori, però, che dopo costituita l’Italia,
accresciute considerevolmente le comunicazioni e gli scambi tra l’Isola ed il
Continente, partecipe quella al movimento intellettuale di questo,
difficilmente una rivista letteraria generale di provincia avrebbe potuto stare
a fronte di altre dei grandi centri d’Italia; e pensarono di specializzarla
nelle cose di Sicilia.
Il
Pedone Lauriel, specializzato anche lui nelle pubblicazioni dell’Isola, trovò
pratica la trasformazione, e ne assunse la edizione. Le “Nuove effemeridi
siciliane”, III serie, vissero ancora sei anni, ma nel 1882 cessarono per
volontà stessa dei Direttori.
Ma
a chi per poco si fermerà sulle varietà di ciascun fascicolo non potrà sfuggire
la cura che le “Nuove effemeridi siciliane”, fin dal loro inizio, mettevano nel
tenere i siciliani al corrente del movimento estero sulla Sicilia.
Il
Pitrè nell’agosto del 1881 fu assalito da una grave malattia intestinale. Tra
gli amici che lo assistevano con cura fraterna era anche il Pedone Lauriel, il
quale nei giorni di lunga convalescenza veniva carezzandogli la fantasia con
ricordi e profferte di pubblicazioni che potessero al Pitrè fare piacere.
Allora
cominciò a sorridere al convalescente il disegno d’una rivista di folklore
generale, che sostituisse, con un programma più largo e con altra ragione di
disciplina, le “Effemeridi”.
Quel
disegno fu accetto al Pedone ed il Pitrè associò nella direzione dell’Archivio
per lo studio delle tradizioni popolari il Salomone Marino e ne scrisse il
programma. Fu quello il primo periodico del genere in Italia, uno dei primi
all’estero.
Ne
sono usciti 23 grossi volumi e la sua vita può dirsi gloriosa. Una nuova scuola
di raccoglitori e di studiosi si raccolse attorno ad esso, portando un
contributo di studi, di ricerche, di indagini e di materiali di tutti i popoli
e di molte regioni. Dal Pedone, che lasciò il commercio librario, passò al
Clausen, dal Clausen al Reber, sotto il quale la pubblicazione ha subito delle
remore.
Il
Pitrè vi ha avuto la parte maggiore, la Miscellanea, le recensioni
bibliografiche, lo spoglio delle riviste, insomma la compilazione della parte
più pesante del periodico. Tante cure non superavano le forze del Pitrè.
Nel
1885 egli fondò da solo una collezione di volumetti inediti e rari di tradizioni
popolari italiane, col titolo “Curiosità popolari”: e primo vi accolse una
riproduzione del bellissimo libro di Michele Placucci: “Usi e pregiudizi dei
contadini della Romagna” (Palermo 1885); secondo, un manoscritto inedito di
anonimo siciliano della provincia di Messina: “Avvenimenti faceti” (Palermo
1885). Vennero poi, man mano, raccolte e studi della Nardo Cibele, del Ferraro,
dello Amalfi, del Finamore, del Mango, di Nurra e Ciani, di Gaetano Di Giovanni
ecc. Questa collezione tocca già al XVI volume.
Così
il Pitrè ha abbracciato le tradizioni della sua patria con la “Biblioteca”,
quelle d’Italia con le “Curiosità”, quelle della Sicilia, della Italia e d’ogni
altro paese con l’Archivio. A questo punto parve al Pitrè venuto il momento
opportuno di fare – per cosi dire – l’inventario di ciò che si era fatto in
Italia ed all’estero, in ordine alle tradizioni popolari dell’Italia
continentale ed insulare, Quanti libri antichi e moderni di argomenti estranei
al folklore non contengono intieri capitoli di tradizioni e di usanze del
popolo? Quanti opuscoli, quanti articoli non sono sparsi qua e la in riviste
letterarie e in giornali politici sull’argomento? E chi li conosce, anzi chi ne
ebbe mai sentore? E chi pensò mai a raccoglierli e farne un elenco a profitto
degli studiosi della materia.
Ebbene:
a quest’opera difficile e grave si accinse con le sole sue forze il Pitrè: e
proprio quando andò migliorando del male del 1881, appunto quando si preparava
a tradurre ad atto il disegno dell’Archivio.
Chi
lo vide allora, emaciato, pallido, non suppose mai che egli lavorasse attorno a
quell’opera, e – pur supponendolo – che potesse con probabilità di successo
portarla a compimento.
Fisicamente
inabile a tutto, egli era abile a lavorare per quella idea attorno alla quale
concentrò le forze che poté chiedere al fisico malandato ed allo spirito
depresso. Così, dopo 12 anni, nel 1894 venne fuori quella “Bibliografia delle
tradizioni popolari d’Italia” (Torino 1894) che per la mole e la immensa
quantità delle pubblicazioni (6680) fu rivelazione di un movimento non mai
considerato, anzi non supposto così intenso dagli specialisti.
Ripugnante
per natura alla vita pubblica, il Pitrè si tenne sempre lontano cosi dalla
politica, come dalle amministrazioni. Nel 1895 questa sua ripugnanza fu vinta
da un vero plebiscito elettorale che lo mandò primo consigliere al Comune di
Palermo, plebiscito ripetuto in varie elezioni successive che confermarono la
grande simpatia del paese all’uomo che ha speso tutta la sua vita in servizio
della Sicilia e delle tradizioni di essa, e che pure non chiede mai nulla.
Da
consigliere sostenne il ripristinamento delle antiche feste tradizionali della
città, non per le feste in se stesse, ma perché da esse venisse lavoro agli
operai, aiuto al piccolo commercio. Volendo trarre partito dalla popolarità del
Pitrè, il Governo, in due elezioni politiche dei due collegi di Palermo, lo
sollecitò ad accettare la candidatura di Deputato: una quando si contrastavano
il collegio due candidati che il Governo non voleva; un’altra dopo l’arresto
del Palizzolo alla cui successione si cercava un uomo d’ordine, che potesse
raccogliere il suffragio degli elettori.
Il
Pitrè rifiutò recisamente tanto la prima quanto la seconda offerta, anche
perché non voleva essere distratto dagli studi, “delicium animae suae”. E pure
rimanendo sempre consigliere comunale ha ricusato la rappresentanza del suo
mandamento natale, il Molo, che i suoi elettori ripetutamente avrebbero voluto
dargli. Nel Consiglio si tenne sempre lontano dai partiti: salvo che per alcuni
anni stette a capo d’un gruppo di consiglieri entrati con lui, i quali non
pericolarono mai e si tennero sempre indipendenti.
Può
bene discutersi coi principi nuovi nel programma basilare d’un gruppo che non
vuole amministrare ma farsi vigile censore altrui, pure è così; e quando si
raccolgono intorno a sé voti come e quanto quelli del Pitrè si può bene tenersi
lontani dalle maggioranze.
Tant’è,
il rispetto, in che fu sempre tenuto il Pitrè, mostra che la sua condotta
ispirò sempre fiducia anche per la rettitudine delle sue intenzioni e per la
onestà del suo carattere. Come primo eletto, distante migliaia di voti dal
secondo eletto, e come avverso a qualsiasi partigianeria, fu parecchie volte
designato a sindaco, anche perché il suo nome era il solo al quale maggioranza
e minoranza s’accostavano come ad un terreno neutro, che non poteva ispirare
sospetti di parte.
Questo
si vede specialmente in una seduta privata del Consiglio al domani della
entrata dei radicali al Palazzo di Città. Ma anche questa volta il Pitrè fu
deciso nello allontanare da sé il pericolo di una sindacatura, e non di questa
soltanto ma anche dell’ultimo degli assessorati.
Oltre
che le occupazioni c’era in lui il desiderio di non vincolare la sua libertà
aggiogandosi ad una maggioranza che dovesse domani sostenerlo. Il Pitrè è stato
sempre un lavoratore instancabile. Dalle 4 del mattino alle 9-10 di sera, tolte
le ore delle sue parche refezioni, divide la giornata tra gli studi suoi
prediletti, i doveri professionali, le mansioni pubbliche e la famiglia.
Quando
qualunque altro mortale si leva da letto, egli ha già studiato quattro ore, le
migliori della sua giornata, invero molto ma molto faticata. Quante molestie
per lui nelle prime ore del mattino, in un paese dove si pensa che molte cose
si possono ottenere per favore e per protezione!
Alle
8, fresco come nulla fosse, egli si mette in giro per i suoi ammalati portando
con sé, nella sua carrozzella chiusa, stampe e manoscritti per continuare il
lavoro intellettivo dianzi cominciato. Il Pitrè non volle mai fare identificare
la sua qualità di studioso di tradizioni popolari con quella di medico.
A
chi gliene chiedeva rispondeva di essere le persone del medesimo nome e
cognome, l’uno medico, lui; l’altro il raccoglitore, del quale non era neanche
parente.
Qualcuno
rimaneva incerto, molti gli credevano. La ragione dell’artificiale ed anche
strano sdoppiamento era da ricercare nella novità degli studi per la Sicilia, e
nella campagna che certi giornaletti settimanali facevano contro di essi. Si
può esser superiori alle impertinenze di una serqua di ragazzi bocciati agli
esami, ma quando questi ragazzi s’accordano con gli strilloni e per le
pubbliche strade ti fanno gridare un povero di spirito, mentre tu devi occuparti
seriamente degli affari tuoi e d’una professione, che specialmente in Sicilia è
tutta basata sulla buona riputazione propria e sulla fiducia altrui, allora non
c’è superiorità che basta.
Un giorno dell’Aprile 1875 un distintissimo signore della città, scrittore eletto e buono, chiede a bruciapelo al Pitrè se egli abbia pubblicato un’opera di tradizioni popolari; ed il Pitrè senza esitare, risponde: “No”. – “Come, osserva il signore: Non siete voi il Pitrè autore d’una recentissima raccolta di Fiabe, novelle, racconti ecc…?” – “No!… ma perché questa domanda?” – “Ecco”. E gli presenta un giornale palermitano che la sera innanzi aveva annunziato l’avere il Dr. Pitrè pubblicato quattro volumi di porcherie”. “Questa parola porcherie – soggiunge – può significare tante cose cominciando da quella contro la onestà. Io e la mia famiglia vi abbiamo sempre tenuto e vi teniamo come persona onesta…” e faceva delle reticenze come per dire: “Come c’entrano le porcherie…?”. – “Ebbene, taglia corto il Pitrè, l’Autore di queste porcherie è appunto l’umilissimo servo qui presente e stipulante ed egli sarà lieto di farle vedere le porcherie che ha pubblicate”.
E,
senz’altro, corse difilato a casa, prese il primo dei quattro volumi e lo mandò
a quel signore.
Per più giorni non ebbe risposta, in capo ad una settimana ricevette una lettera del Barone Giuseppe Ciotti (giacché il signore era lui) che deplorava in maniera sdegnosa che vi fosse un paese nel quale si turbasse la coscienza del pubblico avverso un’opera così forte ed un uomo, che, togliendo ai bisogni ed ai comodi della vita un tempo che altri spende in ozio e passatempi colpevoli, serbava a durevole ricordo il dialetto e le tradizioni siciliane».
Foto di copertina: Giuseppe Pitrè, da Wikipedia.
Foto
a corredo dell’articolo: Museo Etnografico Siciliano “Giuseppe
Pitrè, da Wikipedia.
Giuseppe Longo
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