Cefalunews, 12 febbraio 2022
Lo storico palermitano Rosario La Duca (1923 - 2008) menzionò l’antico Carnevale di Palermo sulle pagine del Giornale di Sicilia, descrivendolo, almeno per quanto ne sappiamo noi, in due articoli: quello che proponiamo oggi, intitolato: “Un carnevale di tanti anni fa”, e l’altro, dal titolo: “Il carnevale nel passato” che abbiamo già avuto modo di proporre il 6 novembre 2016, sempre su questa testata giornalistica.
Per gli “addetti ai
lavori”, il motivo conduttore di La Duca è sempre quello ricorrente: gli anni
d’oro della Palermo carnasciale del XVII e XVIII sec.
Però, andando a ritroso,
già nel XVI secolo nella Capitale del Regno era usanza festeggiare il
Carnevale. Ma, in quel torno di tempo per causa di forza maggiore: “Guerre,
sollevamenti, pestilenze e carestie”, proprio negli anni 1541 e 1549, dal
Senato cittadino furono proibiti l’uso delle maschere (1).
Lo storico ed erudito
Francesco Maria Emanuele Gaetani (1720 - 1802), marchese di Villabianca, nei
suoi preziosi “Diari palermitani” raccolti in 25 volumi, descrisse con
ricchezza di informazioni, gli avvenimenti accaduti nella città di Palermo
negli anni che vanno dal 1743 al 1802, menzionando anche le celebri
manifestazioni carnevalesche.
Arrivando per così dire ai
più recenti secoli, XIX e XX, vengono ad aggiungersi parimenti, le
testimonianze sia dell’etno-antropologo Giuseppe Pitrè (1841 - 1916) e sia
dello storico, nonché giornalista, Vittorio Gleijeses (1913 - 2001), autore del
libro: “Piccola storia del Carnevale”.
Il Gleijeses, passò in
rassegna, raccontandoli con accortezza, i carnevali di Roma, Toscana, Romagna,
Emilia, il carnevale in Abruzzo e Molise, Liguria, Piemonte, Veneto e
nell’Istria, Milano, Sicilia e infine Napoli.
E a proposito de “Il
Carnevale in Italia meridionale”, così scrisse:
[…] L’Italia meridionale è presente nella storia del Carnevale italiano con
le feste del Reame di Napoli, poi Regno delle due Sicilie. Il Carnevale
siciliano e quello napoletano, anche se possono essere considerati inferiori,
per magnificenza e studio coreografico, a quello delle città dell’Italia centrale
e settentrionale, avevano però, per essere più schiettamente popolari, un loro
folklore caratteristico che li rendeva altrettanto brillanti e vivi […].
Sfogliando ancora il libro
di Gleijeses a destare la mia curiosità è stata la lettura del brano (che
riportiamo qui di seguito), in cui fu descritta la manifestazione
carnascialesca, svoltasi a Napoli nel 1876, eccola:
[…] Il Carnevale del 1876 fu caratterizzato da una sfilata di magnifici
carri molto veristici, tra i quali primeggiava uno rappresentante la Sirena
Partenope. Questa sirena librata nel vuoto a statura naturale, tutta nuda,
destò ammirazione e scandalo nello stesso tempo per la sua spregiudicatezza. Il
corpo modellato in maniera stupenda tutto proteso indietro a mo’ di offerta, di
un colore trasparente e nello stesso tempo carnoso e sensuale, fu oggetto di
aspre critiche, tanto che la terza sera si fece l’impossibile per far andare il
Carro della Sirena nelle zone della città più popolari, cercando di lasciare
almeno nei quartieri della Napoli bene i giovincelli nella loro pura ignoranza
di… nudi. Di questa «opera d’arte» furono artefici Mancini (1) Toma (2)
Dichirico, Matanìa e Jerace […].
La magistrale costruzione
della leggendaria creatura che sfilò insieme agli altri carri per le vie della
città partenopea, rimane ancora adesso indelebile nel nostro immaginario
attraverso i disegni e le stampe dell’epoca.
L’interesse in me
suscitato non è stato soltanto nell’aver letto l’esposizione scrupolosa dello
scrittore, circa la meravigliosa, sensuale e incantatrice sirena “Partenope”,
in posa sul “Carro degli artisti”. Artefici dell’opera: Antonio Mancini
(1852-1930), Gioacchino Toma (1836 – 1891), Giacomo Di Chirico (1844-1883),
Edoardo Matania (1847-1929), e Francesco Jerace (1853-1937). Ma, anche, l’anno
in cui si svolse la sfilata.
In realtà, a Termini
Imerese nel 1876, per merito di Giuseppe Patiri nasceva la primigenia “Società
del Carnevale”: la prima forma organizzata di manifestazione carnevalesca
documentata e di cui rammentiamo ancora una volta, che:
Il Carnevale di Termini
Imerese è l’erede diretto dell’antico Carnevale di Palermo
Il Carnevale di Palermo
che ebbe la sua popolarità nel periodo vicereale perdurò ancora nel primo
Ottocento, proprio al tempo del Pitré.
Il secolo decimonono si
contraddistinse per la nascita in Italia dei comitati organizzatori per la
gestione delle feste carnascialesche. Come lo furono ad esempio nella Sicilia
occidentale, le originarie Società carnevalesche di Palermo e Termini Imerese.
Quest’ultima, operante nella cittadina sin dal 1876, e presente con alterne
vicende, almeno sino al 1911.
La primigenia “Società del
Carnevale” di Termini Imerese conteneva nel suo repertorio folcloristico una
forte analogia, o meglio una chiara “fotografia” della cerimonia che si
svolgeva un tempo a Palermo lungo il Corso Vittorio Emanuele.
Sempre a Palermo, la
tradizione carnevalesca continuò in tono minore. Sono del 1931 (almeno così
sembrano) le foto catturate da internet, verosimilmente immortalate dal
fotografo il Giovedì Grasso del 12 febbraio.
La didascalia che
accompagna le foto recita:
“Carri allegorici sfilano lungo i viali laterali di via Libertà e
sostano all’angolo di via Catania”. Continua ancora la dicitura “Alla riuscita
della manifestazione contribuì anche il comm. Emanuele Finocchiaro che mise, a
disposizione del Comitato, ben 120 operai del suo “Cantiere lavori in cemento”.
Dietro i carri, denominati “L’Aviazione dell’avvenire” e “La Giraffa”, si
riconosce Palazzo Pintacuda (1908) prima della sua sopraelevazione”.
Mentre è documentata la
datazione relativa alle due immagini tratte dall’articolo di Rosario La Duca.
Le foto in questione rappresentano i carri dal titolo: «Nozze nella terra dei zulù» e «‘u nannu e ‘a nanna».
Nel dopoguerra ci furono
dei tentativi di rilancio della manifestazione. Però è certo che negli storici
quartieri palermitani la tradizione della bruciatura dei fantocci del “Nannu ca
nanna” non smise mai di cessare, e continua tuttora.
Il carnevale a Palermo
“non è morto”, poiché è stato riscoperto da alcuni anni a questa parte, grazie
ad una nota manifestazione.
Infine, riporto per gli
storici e gli appassionati di questa festa, il “pezzo” dell’illustre e
compianto Rosario La Duca.
«Sul Carnevale nel passato ci siamo già intrattenuti in questa rubrica
un paio danni fa (16-2-1972) e, non volendoci ripetere, avevamo pensato di
spulciare diari e cronache per conoscere come si fosse svolto quello dell’anno
1774 e riferirne quindi ai lettori.
Ma
siamo stati sfortunati in quanto, proprio in quell’anno «il carnovale passò
freddissimo» - come riferisce il Villabianca - «a causa delle disgraziate
circostanze per le quali la città si trovava in lutto». Era infatti ancora vivo
il ricordo della sommossa popolare del settembre 1773, conclusasi con la cacciata
del vicerè Fogliani, e gli animi non si erano del tutto placati. Quindi -
annotava il Villabianca - «non si vide una maschera, né alcun giuoco
popolaresco fu celebrato, essendo stati tutti proibiti ed eliminati affatto dal
governo».
Né
le cose dovettero andare in miglior modo nell’anno successivo, se lo stesso
Villabianca, tanto pignolo nel riportare fatti e avvenimenti, ignora del tutto
questa ricorrenza. Ma il 1776 segnò una vera e propria rivincita sul «mortorio»
dei due anni precedenti. Ed il nostro ineffabile marchese, nel suo diario,
gongola di gioia mettendo in particolare evidenza il contributo dato
dall’aristocrazia affinchè il Carnevale quell’anno riuscisse veramente
sontuoso.
In
primo luogo furono aperti «per divertimento del pubblico» il teatro di S.
Cecilia, dove vennero date delle opere in musica, e l’altro di S. Caterina
Valguarnera (l’odierno Bellini, già Real Carolino) «pei ridotti di maschere».
Ma la città tutta impazzì, da un capo all’altro, e lungo il Cassaro (l’attuale
Corso Vittorio Emanuele) sfilarono ininterrottamente magnifici carri e
carrozzate e fu un continuo viavai di dame e cavalieri «foggiatamente vestiti».
Il
20 febbraio - vigilia delle Ceneri - «arrivò il corso del Cassaro a superare le
pompe del corso dell’alma città di Roma con le sue mascherate» e soprattutto
«nella profusione delle confetture e dei pregevoli dolci riversati al popolo da
prodiga mano al segno di essere arrivata la povera gente a rivendere il
superfluo per empirne le povere borse». Precisa poi il Villabianca che «colle
confetture si gettarono anche numerosissime ceste di dolci di zucchero, detti
volgarmente caramelloni». Autori di queste elargizioni popolari furono i
migliori nomi dell’aristocrazia locale in gara tra loro nel superarsi in sfarzo
e splendore.
Primo
tra tutti pare fosse Ercole Michele Branciforte e Pignatelli, principe di
Pietraperzia. «Si arrivò a dire» - commenta il Villabianca - «che un sovrano
per dimostrazione di sua generosità non potrà farne maggiore di quella, ch’ei
fece gettando moneta al popolo».
Ma
anche il principe di Paternò, Giovan Luigi Moncada e Ruffo non fu da meno. Se
il principe di Pietraperzia aveva organizzato con carrozzate «il trionfo della
nazione de’ Moscoviti sopra i Turchi, strascinando avvinte in catene molte donne
turche di speciose beltà dietro al carro trionfale del vittorioso generale
conte di Romanoff». Giovan Luigi Moncada «si attirò non poca laude colla
dimostrazione della sua carrozzata degli Argonauti per l’acquisto del vello
d’oro». Il vicerè inoltre, il 17 febbraio, tenne una serata in palazzo in
ossequio della nobiltà, ed un’altra simile ne tenne la sera del 18 «per
complimentare la gente civile ed i primarii consoli delle maestranze». Come ben
si vede, a quel tempo, neppure il Carnevale riusciva ad accorciare le distanze
tra i diversi ceti sociali Semel in anno era ben lecito impazzire, ma le caste
però andavano rispettate.
Il
principe di Paternò tenne una festa di maschere nel suo gran palazzo di
Aiutamicristo, a Porta termine, e fece uno strappo alla regola ammettendo oltre
al corpo nobile «non pochi del civile.
In
aggiunta a tutte queste feste organizzate dalla nobiltà vi furono «i giuochi
popolareschi della povera gente»: quelli dell’Oca, del Mastro di Campo e del
Castello, ed anche corride che ebbero luogo nei piani di S. Onofrio della
Conceria e di S. Euno. Terminata la corrida nel piano della Conceria, la
maestranza dei conciapelle organizzò dei balli in maschera «sotto un gran
baraccone formato di arazzi».
Il
Villabianca non potè fare a meno di commentare, con una punta di orgoglio che
«la nobiltà ed il vicerè ne riscossero con ragione un generale evviva,
facendovi sonoro eco le lingue de’ buoni patriotti, che internamente han goduto
della ripristinata felicità della patria, manifestatasi maggiore che ne’ tempi
passati con le dette festive dimostrazioni».
Tra
tanti aristocratici meritevoli ci fu però la solita pecora nera, il marchese di
Spaccaforno Antonio Statella e Grifeo. Al momento di saldare il conto delle
confetture, che a piene mani aveva gettate al popolo, non volle pagarle «per la
ragione di averle buttate al popolo, e perché avendole ricevute dalle mani di
mercenarii popolari le avea restituite ai popolari medesimi, ed in conseguenza
non si credeva obbligato a cosa alcuna».
Il
Villabianca non precisa se il marchese di Spaccaforno con questo suo
ragionamento bizantino riuscì a non pagare la fattura «per amor di patria»,
preferisce tacere, stendendo col suo silenzio un velo sulle follie
dell’aristocrazia palermitana dei suoi tempi».
Note:
(1)
Villabianca Diarij, t.13 pp.78-79
Bibliografia
e sitografia:
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anni 1743, 1744 e 1745, Sec. XVIII.
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quella del cav. D. Gaspare Palermo
dal beneficiale Girolamo Di Marzo Ferro, tip. P. Pensante, 1858.
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Editore, 187 p. 1971.
Rosario
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Longo 2019, La rivincita della “vera” storia del Carnevale
Termitano, Cefalunews.org. 19 gennaio.
Giuseppe
Longo 2019, Riflessioni sulla festa carnascialesca di
Termini Imerese l’erede indiscussa dell’antico Carnevale di Palermo,
Cefalunews, 4 febbraio.
Soprintendenza
Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e
per il Polo Museale della città di Napoli.
Foto
di copertina: Palermo Quattro Canti, o piazza Villena, o
Ottagono del Sole, o Teatro del Sole. Litografia del XVIII secolo. Dalla rete
internet.
Foto
a corredo dell’articolo:
Carnevale di Napoli, 1876.
La Sirena, “Carro degli Artisti”.
L’Illustrazione Italiana,
28 febbraio 1876.
Logo dell’originaria
“Società del Carnevale”, 1876.
Da sinistra, il Carnevale
di Palermo, carro dei “Nanni” (anni ’30 del XX secolo). Carnevale di Termini
Imerese, le due maschere del Nannu e della Nanna, anni Trenta.
Palermo, 1931, i carri
denominati “l’Aviazione dell’avvenire” e la “Giraffa”.
“Un carnevale di tanti
anni fa”, Giornale di Sicilia, 27 febbraio 1974.
Giuseppe Longo
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