Cefalunews,
29 aprile 2020
È ampiamente documentato
che il “Nanno” del Carnevale di Termini Imerese, il quale è accompagnato sempre
da una partner, la “Nanna”, è una figura peculiare carnascialesca della nostra
città, e rappresenta l’elemento di connessione tra la radicata e plurisecolare
figura del “Nannu” siciliano.
In realtà, il rituale rogo
del vegliardo, sia esso riprodotto da una maschera oppure da un fantoccio o
affine, si svolge ancora oggi e con modalità assai simili, in numerosi centri
della nostra Isola.
Ciò nonostante a Termini
Imerese, agli esordi della seconda metà del XX sec. sotto le festività
carnevalesche vi era l’usanza che i “Nanni” arrivavano nella cittadina facendo
la loro comparsa, o alla stazione ferroviaria o al porto (che induce a pensare
che sia effettivamente l’indizio dell’origine non autoctona delle due
maschere), oppure, sotto il ponte della “lavata râ lana”, N.d.r (lavata della
lana).
Quest’ultima consuetudine
ci è stata tramandata solamente attraverso testimonianze orali, e comunque essa
è legata ad una tradizionale abitudine in voga ancora negli anni ‘50 del XX
secolo, e che tutt’oggi è sprovvista di documenti iconografici.
La “lavata râ lana” era il
corso d’acqua dove le famiglie per lo più benestanti si riunivano per
effettuare la pulizia della lana di concia, per mezzo delle “pile”. La lana,
pulita dalle impurità, serviva per riempire i materassi della futura sposa
prima delle nozze.
Tuttavia, questo non era
l’unico posto per sgrassare la lana. Infatti, sempre nella città imerese
c’erano le acque marine della contrada Ginestra, e secondo quanto ci riporta lo
storico termitano Giuseppe Patiri, anche al “Valatu, N.d.r (nel versante
settentrionale della Rocca del Castello di Termini, il nome deriva dall’arabo
balat, lastra di pietra, cfr. Contino 2019 pag. 59) sotto il Castello, ovvero
nella spiaggia di S. Cosimo”. Mentre, fuori porta, ci si avvaleva dello
specchio d’acqua nelle vicinanze della Tonnara di Trabia, e sempre in questa
cittadina, alla fonte d’acqua denominata all’acqua d’oru. N.d.r (acqua d’oro).
Però il luogo privilegiato
rimaneva quello per così dire “bucolico” della lavata râ lana, oggi
sfortunatamente non più riconoscibile. La località in questione si trovava e si
trova presso la foce del Vallone Tre Pietre, le cui acque sfociano nel nostro
litorale tirrenico.
Sin dagli inizi del
Novecento la strada per raggiungere il ponte della “lavata râ lana”, si
presentava sterrata, delimitata da aree coltivate e dalla ferrovia.
Per questa carrozzabile
transitavano i carretti con il loro carico, trasportando i parenti della
promessa sposa alla volta delle sponde dell’alveo per nettare la lana grezza
che battuta sul greto, veniva pulita dalle impurità e lasciata asciugare al
sole. In questo modo la lana tersa e riordinata, era usata per riempire i
materassi di cotone che la sposa portava in dote.
La giornata lavorativa
dedicata alla lavata della lana iniziava di buon’ora, e terminava
all’imbrunire. Tuttavia, durante la giornata non mancavano generosi e svariati
rifocillamenti, risa e canzoni per festeggiare l’evento.
In questo contesto paesano
ci piace pensare, volendo caldeggiare le fonti orali, che i nostri “Nanni”,
raggiungessero il torrente nel periodo del Carnevale quando le condizioni
meteorologiche lo permettevano. I due simpatici e “arzilli” vecchietti, una
volta arrivati, A lavata râ lana, ulteriormente, rallegravano con la loro
simpatia, quelle ore lavorative.
La principale via di
comunicazione dove ricadeva questo “lavatoio a cielo aperto”, scavalcava il
torrente Tre Pietre mediante un ponte. La strada in questione, collegava
Palermo con Messina. Il tratto viario, oggi denominato via Libertà è inserito
nel tracciato della SS. 113 Settentrionale Sicula.
In merito alla descrizione
del trasporto della lana presso i luoghi della pulitura e in particolare la
tradizionale costumanza Termitana, voglio ricordare l’antropologo Giuseppe
Pitrè (1841-1916) nel suo: “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo
siciliano” Volume II, descritta al Cap. X “Trasporto del corredo “Piditera”:
«In Termini se ne fa una per la lavatura della lana che dovrà formare il
letto nuziale. La lana, che per antica costumanza si facea venire da Marsala,
si acquista quale si taglia alle pecore.
Ora
in Termini questa lana si va a lavare all’acqua d’oru nel comune di Trabia come
in Palermo si va a lavare al fiume Oreto. Fidanzati, congiunti, amici intimi,
tutti si raccolgono in una barca, ove la lana vien portata, e con musica che tutti
li allieta partono per Trabia, un tre chilometri distante.
Quivi
accudiscono all’opera, e quando essa è finita e la lana è stata messa ad
asciugare, si imbandisce un desinare più o meno lauto senza risparmio di spesa.
Musica e tutta la comitiva tornano poi sulla medesima barca a Termini. Alcune
famiglie terminesi, a non farla così grande si recano a lavare al Valatu, sotto
il Castello, ovvero nella spiaggia di S. Cosimo».
Tuttavia, anche in questo
particolare contesto popolare, ci piace menzionare ugualmente lo storico ed
erudito Giuseppe Navarra (1893-1991) il quale descriveva questa antica
tradizione Terminese nella sua: “Termini com’era” nel capitolo A lavata râ
lana:
«La promessa sposa che si rispetti doveva portare in dote, fra l’altro,
almeno quattro materassi di lana. La lana, fornita da Lanzarotta o da altri era
sudicia, perché ricavata dalla tosatura delle pecore, e poiché bisognava
renderla pulita si era trovato che l’acqua di mare fosse un ottimo solvente di
quella sporcizia.
Venivano
all’uopo impiegati tre differenti luoghi: la tonnara di Trabia, la contrada
Ginestra di Termini e sotto il ponte della lavata râ lana che era ed è alla
foce del Vallone Tre Pietre, luogo generalmente prescelto. Vi si trascorrevano
ore liete e spensierate, e l’allegria pervadeva tutti fino all’imbrunire, tra
canti, suoni, risate, evviva agli sposi e rifocillamenti debitamente innaffiati
da buon vino.
Gli
operai erano quasi sempre pescatori che sciacquavano la lana battendola contro
gli scogli, e gli adulti della comitiva preparavano delle canne a V rovesciato
che piantavano sul greto del torrente, passandovi sopra una corda che serviva
per fare asciugare al sole la lna già pulita.
Alle
nove si prendeva un muzzicuni, N.d.r (boccone): grossi pezzi di caciocavallo e
ffillata (mortadella) e sorsate di vino che ai pescatori i quali, poverini,
stavano con le gambe a mmoddu, N.d.r (a mollo) per tanto tempo, veniva
somministrato in fiaschi, mentre chitarra e mandolino allietavano i presenti.
Non
mancava quasi mai Vannuzzu Schifìa, che con le sue buffonate faceva sbellicare
dalle risa.
Il
pasto forte era alle tredici, e tutti “lentavano” di lavorare. Si cominciava
con trinche di maiale, castrato e salsiccia arrostiti alla brace, e poi
caponata casereccia, olive nere e bianche, sarde salate, salame e caciocavallo,
terminando con carciofi bolliti, lattughe, finocchi, ravanelli e vino a
profusione.
I
musicisti mangiavano per ultimo, perché dovevano tenere allegra la comitiva. La
spesa totale di siffatte occorrenze non doveva superare, attuppàtivi aricchi,
N.d.r (nientedimeno) 150-200 lire, mentre oggi non ne basterebbero duemila
volte tanto.
Alle
sedici tutto era finito, ma si aspettava l’imbrunire per fare ritorno in città
ostentatamente con i musicisti che, preso posto sui carretti, suonavano
ballabili in sordina».
Concludendo questa breve esposizione antropologica, mi permetto di offrire uno spunto di riflessione degno di rilevanza circa un’importante sottigliezza, peraltro tipica di Giuseppe Navarra. In realtà, egli non ha mai menzionato le maschere carnascialesche, nel suo corposo “Termini com’era” e nello specifico sia nei capitoli: “A lavata râ lana” e “Le feste calendariali”.
Questo a dimostrare che le tipiche maschere dei “Nanni”, nate nella cittadina imerese nella seconda metà dell’Ottocento, siano legate a tradizioni consuetudinarie siciliane plurisecolari e pertanto prive di note distintive, soprattutto riguardo al personaggio del “Nannu” (maschera-fantoccio), largamente diffuso nella nostra Isola, e come ampiamente abbiamo dato prova nelle nostre ricerche, eredi diretti della maschera dell’antico Carnevale di Palermo.
Bibliografia
e sitografia:
Giuseppe
Pitrè, “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo
siciliano”, Volumi I e II, Palermo, 1889.
Giuseppe
Navarra “Termini com’era” GASM, 352 pp. 2000.
Antonio
Contino “Aqua Himerae idrografia antica ed attuale dell’area
urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale)”
Giambra Editori, 300 pp. 2019.
Giuseppe
Longo 2012, “Giuseppe Navarra e il Carnevale di Termini
Imerese” Giornale del Mediterraneo, 20 settembre.
Giuseppe
Longo 2020 “I nanni di Carnevale trapiantati da Palermo a
Termini Imerese”, Cefalùnews, 11 Marzo.
Giuseppe
Longo 2020, “Alla scoperta di un’inedita lettera di Giuseppe
Patiri indirizzata a Giuseppe Pitrè”, Cefalùnews, 16 aprile.
Foto
di copertina: Michele Salvo. Località detta “a lavata râ
lana”, anno 1905 circa. Si usava lavarvi, fra musiche e canti, la lana dei
materassi della sposa prima delle nozze. Per gentile concessione di Francesco e
Michele Ciofalo.
Foto a corredo dell’articolo: Cartolina di Termini Imerese (PA) anni ’60 per gentile concessione di Fabio Chiaramonte.
Giuseppe Longo
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