Cefalunews, 6
novembre 2016
In questi anni ho avuto modo di raccogliere e studiare una rilevante mole di materiale storico riguardante l’antico Carnevale di Palermo, manifestazione viva e pulsante, un tempo presente nel capoluogo siciliano, che nel corso dei secoli, per varie vicissitudini, andò man mano dissolvendosi fino a cadere nell’assoluto oblio.
Il Carnevale di Palermo
dunque, dopo aver avuto un apice di popolarità nel periodo vicereale,
perdurando ancora nel primo Ottocento, proprio al tempo del Pitré, si avviava
progressivamente ad uscire di scena.
L’Ottocento, peraltro, fu
contraddistinto dalla nascita in Italia dei comitati organizzatori per la
gestione delle feste carnascialesche.
La ricerca sul Carnevale
della Sicilia occidentale evidenzia un importante binomio, cioè l’esistenza di
due Società carnevalesche, sia a Palermo che a Termini Imerese.
Il risultato è stato
veramente sorprendente. In realtà la “Società del Carnovale” di Termini Imerese
che operò nella cittadina sin dal 1876, e presente con alterne vicende, almeno
sino al 1911, conteneva nel suo repertorio folcloristico (di cui anche oggi
sussistono antichi retaggi) una forte analogia, o meglio una chiara
“fotografia” della cerimonia che si svolgeva un tempo a Palermo lungo il Corso
Vittorio Emanuele.
Da una relazione datata
1963 e sottoscritta dal Sindaco di Termini Imerese, dott. Francesco Candioto
(1923-1998), e dal Presidente della neonata Pro Termini Imerese Vito Salvo
(1896-1983) si evince che le due maschere simbolo del Carnevale termitano,
furono realizzate nella seconda metà dell’Ottocento per «opera di un
appassionato creatore di maschere carnevalesche. Il quale, dopo avere ultimate
due teste di vecchi, rivolgendosi alla moglie ed ai parenti che curiosavano,
esclamò: “Taliati parinu u Nannu ca’Nanna”» (guardate, sembrano il Nonno e la
Nonna di Carnevale). Evidentemente l’abile artigiano voleva paragonare i suoi
manufatti, alle due maschere palermitane esistenti già nel capoluogo sin
dall’Ottocento.
Ritornando all’antico
Carnevale di Palermo, mi preme dare qui, una valida risposta ai molti lettori
che mi seguono, circa la scomparsa dell’importante festa carnascialesca
palermitana.
Quindi, per loro comodità,
riporto integralmente quanto scrisse lo storico Rosario La Duca (1923-2008)
nelle colonne del “Giornale di Sicilia” in data 16 febbraio 1972. Come chiosa
finale, mi piace riportare, inoltre, anche una sua puntuale e tuttora valida
considerazione sulla città di Palermo, che egli tanto amò e studiò per una vita
intera.
«Semel in anno licet insanire: così dicevano gli antichi: il che -
tradotto in volgare, e cioè in linguaggio del nostro tempo - praticamente vuol
significare che una volta l’anno è lecito esser pazzi o far cose da pazzi. E
cose da pazzi facevano i nostri antenati, o cose che tali erano considerate in
quei tempi austeri e, perché no, anche un po’ noiosi; e ciò avveniva una volta
l’anno - come prescriveva l’antico adagio - in occasione del Carnevale e cioè
nelle prime settimane del mese di febbraio. Oreste Lo Valvo, nella rievocazione
dell’ultimo Ottocento palermitano, scriveva nel 1937: «Allora non era sempre
carnevale e la vita si svolgeva attraverso un succedersi di feste e di
avvenimenti, che la tradizione rispettosamente manteneva, secondo gli usi e i
costumi, con l’avvicendarsi delle stagioni e le ricadenze del calendario».
E
se il Lo Valvo riteneva un «sempre carnevale» la vita in Palermo negli anni
Trenta, figuriamo cosa avrebbe detto se avesse fatto riferimento a quella
odierna della nostra felice città.
Nei
secoli passati il Carnevale fu uno dei principali ingredienti dell’arte del
buon governo che si compendiava nel trinomio: feste, farina e forche: e ciò in
quanto delle feste era proprio quella in cui il popolo fungeva più da
protagonista che da spettatore: gli era lecito dire come la pensasse dei
signori e dei potenti (sia pure con prudenza, s’intende), pazziare per le
strade.
Assistere
a spettacoli diversi dal solito che non fossero le frequenti processioni in
occasione di festività religiose, le esecuzioni capitali nel piano della Marina
o gli atti di fede, con arrosto umano finale, celebrati dal tribunale della
santa Inquisizione. Era in sostanza, il Carnevale una specie di valvola di
sfogo di una realtà grigia e compressa.
La
nobiltà lo celebrava con balli al S. Cecilia, aprendo i dorati saloni delle
dimore patrizie e talvolta partecipando, sia pure in modo paternalistico, allo
sfrenato divertimento popolare organizzando carri allegorici, alberi della
cuccagna e simili trovate.
Ma,
in definitiva, gli aristocratici disprezzavano il Carnevale che li costringeva
a venire a contatto col popolo un po’ «alla pari» e possiamo anche dire che, in
fondo, lo subivano.
Nell’Ottocento
il Carnevale, oltre che festa del popolo, fu anche festa della nascente piccola
e media borghesia. Si aspettava con ansia il programma annuale che veniva
predisposto dall’apposito Comitato e Società del Carnevale: le mercerie
mettevano in vista maschere di cartapesta e variopinti berretti, coriandoli (i
famosi pittiddi) e stelle filanti e, quindi, aveva inizio la «gran pazzia».
Il
Carnevale faceva il suo ingresso ufficiale con la famosa trasuta d’ ‘u nannu e
d’ ‘a nanna: le due maschere sfilavano su di un cocchio per le principali vie
cittadine facendo inchini a destra e a manca e lanciando confetti, mentre dai
balconi gremiti di persone piovevano pittiddi e stelle filanti.
Seguivano,
nei giorni che andavano dal giovedì grasso al martedì successivo, spettacoli di
varia natura che andavano dai pubblici concerti alle famose carrozzate; ne
ricordiamo ancora alcune di queste ultime verso gli anni trenta del secolo: tra
esse troneggiava una gigantesca riproduzione della statua bronzea di Carlo V in
piazza Bologni: l’imperatore, anziché giurare fedeltà ai privilegi del regno,
con il braccio teso si divertiva a giocare a jo-jo un noto trastullo tanto in
voga, in quel tempo fra grandi e piccini.
Le
strade erano letteralmente ricoperte di coriandoli e, al termine della festa,
gli addetti alla nettezza urbana avevano da sudar sette camicie per ripulirle
in ogni angolino.
Il
Carnevale era quindi festa popolare e come tale rimase sempre circoscritto
nella vecchia città, raramente trasferendosi nei quartieri nuovi. Dopo
l’inevitabile interruzione dovuta all’ultima guerra, si ebbe una modesta e
spesso forzata ripresa. Ma ormai i tempi erano cambiati ed il Carnevale non
aveva più ragion d’essere in una società lanciata verso una continua ricerca di
nuove sensazioni di strani divertimenti.
Rimaneva
in parte nei vecchi quartieri del centro storico dove ancora, in case
fatiscenti, si annidava una popolazione che ai guai ed alle miserie del passato
aveva aggiunto anche quelli dei tempi più recenti. Ed era gente che, semel in
anno, pazziava a proprio modo celebrando una specie di carnevale anacronistico
e, in ogni caso di serie B.
Negli
ultimi tempi il Carnevale si è limitato alla mascherata dei bambini ed oggi
anche questa sta per tramontare. Possiamo concludere che il Carnevale è finito.
Il motivo è semplice: i tempi sono mutati e certamente anche in quanto ognuno –
come il Lo Valvo – pensa che, in definitiva, Carnevale ormai è tutto
l’anno».Infine, concludiamo con l’emblematica citazione di Rosario La Duca,
tratta dalla sua prefazione a “Palermo città d’arte”: «Una città non nasce mai
per caso. La configurazione del sito le imprime i propri tratti indelebili, ma
è il rapporto tra l’ambiente e gli uomini che vi si sono insediati a segnare il
destino».
Per un ulteriore
approfondimento consultare su questa Testata giornalistica:
Giuseppe
Longo 2015, Il Carnevale di Termini Imerese nel XIX secolo
Nuovi contributi documentari ad una storia che si va dipanando, Cefalùnews, 17
febbraio.
Giuseppe
Longo 2015, Una coppia alla moda: U’ Nannu e A’ Nanna,
Cefalunews, 2 novembre.
Giuseppe
Longo 2016, Il Carnevale antico di Termini Imerese 1876,
Cefalunews, 17 gennaio.
Giuseppe Longo 2016, Il
Carnevale di Palermo (sin dal 1874) e di Termini Imerese (sin dal 1876): un
binomio da riscoprire, Cefalùnews, 18 gennaio.
Giuseppe
Longo 2016, Le Società carnascialesche di Palermo e di
Termini Imerese, Cefalunews, 2 febbraio.
Giuseppe
Longo 2016, I “Nanni” dei carnevali di Palermo e Termini
Imerese, Cefalùnews, 5 febbraio.
Giuseppe
Longo 2016, Il Carnevale di Palermo: una storia lunga almeno
cinquecento anni, Cefalùnews, 22 giugno.
Giuseppe
Longo 2016, Enrico Onufrio ed il Carnevale palermitano tra
primo e secondo Ottocento, Cefalunews, 18 agosto.
Foto
di copertina:
Foto 1 da sinistra, Carnevale Palermo 1906, Arturo Lancellotti, “Feste tradizionali”, Società Editrice Libraria, 1951. Ph. 2 Carnevale di Termini Imerese XX secolo. Collezione privata.
Giuseppe Longo
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