Cefalunews,
28 giugno 2020
«E’ veramente miracoloso come fossero riusciti a comprimere in un così
limitato spazio un mirabile gioiello di architettura che conteneva camerini,
palcoscenico, platea, palchi tutt’intorno e loggione. Con l’autunno veniva
rizzata all’esterno una comoda ed ampia scala esterna di sicurezza, in legno
che adduceva al balconcino a petto adiacente al portone del municipio, e che
segnalava ai cittadini che la stagione teatrale era incominciata».
Così recita lo storico e
giornalista Giuseppe Navarra (1893-1991), in merito al piccolo Teatro
“Stesicoro” ubicato all’interno del Palazzo di Città, nel suo “Termini com’era”
GASM, 352 pp., 2000.
In realtà, Termini Imerese ebbe un piccolo scrigno dell’arte all’interno del “Palazzo del Magistrato”: il suo Teatro. Esso, anche se pur di modeste dimensioni, nel corso della sua attività e comunque prima del suo smantellamento, accolse e intrattenne il pubblico con rappresentazioni, manifestazioni, commemorazioni e veglioni. In quest’ultimo caso ad esempio, la festa carnascialesca del 1876, organizzata dall’originaria Società del Carnevale, cfr. il mio articolo: “Proclama” del 1876 di Giuseppe Patiri per la Società del Carnovale, in Termini Imerese (https://cefalunews.org/2017/10/07/proclama-del-1876-di-giuseppe-patiri-per-la-societa-del-carnovale-in-termini-imerese/).
Ricordiamo, aprendo una
piccola parentesi, che la benemerita Società del Carnevale di Termini Imerese
fu la prima forma organizzata di manifestazione carnevalesca documentata,
pertanto, in quanto tale, il Carnevale di Termini Imerese è considerato a gran
voce uno dei più antichi d’Italia ed erede diretto dell’antico carnevale di
Palermo.
Tornando al teatro
termitano, purtroppo nulla ci è rimasto della sua struttura lignea, poiché
venne totalmente distrutta negli anni 1910-1912, durante i lavori di
“trasformazione” dell’edificio.
Verosimilmente, la detta
struttura era già esistente sin dal Seicento, epoca, generalmente nota in
Europa come il “secolo del teatro”, poiché si diffuse l’interesse verso questa
eterogenea disciplina.
Un avvicinarsi
ipoteticamente alla possibile allusione struttura teatrale termitana in seno al
Palazzo del Magistrato, potrebbe essere ravvisata in uno dei dipinti a fresco
eseguiti dal pittore terminese Vincenzo La Barbera (1577 circa – 1642), in
particolare nel riquadro raffigurante un teatro con il relativo spettacolo.
La pittura del La Barbera
fa parte del ciclo narrativo (dodici pannelli in tutto), inerenti la storia di
Imera e di Therme, eternate all’interno della “Cammara picta”, o Sala del
Magistrato, nelle sede storica del Municipio di Termini Imerese.
Nel panorama sociale
universale, il XVII secolo fu contrassegnato dal Concilio di Trento: un’azione
risolutiva dei padri conciliari per reagire all’espansione della riforma
protestante, ovvero il calvinismo e il luteranesimo. Infatti, il XIX concilio
ecumenico, convocato da papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese (1468 -
1549) si svolse, con interruzioni, dal 1545 al 1563. Il sinodo, uno dei più
importanti della Chiesa cattolica, era volto a reprimere ed estirpare le
dottrine degli eretici attraverso il Tribunale dell’Inquisizione. Pertanto,
questa istituzione ebbe il compito di condannare quelle teorie contrastanti
l’ortodossia cattolica, le così indicate eresie.
In Italia, ovviamente,
anche il teatro fu oggetto di controllo da parte della Chiesa che vigilò
affinché si contrastasse ogni forma di tematica immorale e poco ortodossa.
Siffatto atteggiamento scoraggiò inevitabilmente il fiorire della produzione
del teatro nazionale stesso, favorendolo altrove.
Il
Palazzo del Magistrato di Termini
Recentissimo è un
rilevante contributo allo studio di questo edificio. Quest’ultimo, infatti, ci
riserva sempre nuove e sorprendenti, scoperte.
Grazie alle ricerche
archivistiche, geologiche, e all’analisi storico-artistica, effettuata dagli
studiosi Patrizia Bova, Antonio Contino e Giuseppe Esposito, è oggi possibile conoscere le
principali tappe evolutive del manufatto simbolo della civica splendidissima.
Lo studio di Bova, Contino
ed Esposito, si intitola: L’estrazione e l’uso delle brecce calcaree a rudiste
(Cretaceo sommitale) in Termini Imerese (Palermo) nei sec. XVII-XX.
E’ stato pubblicato nel
dicembre 2019 come contributo nel volume Arte e storia delle Madonie Studi per
Nico Marino, Voll. VII-VIII, A cura di Gabriele Marino e Rosario Termotto,
edito dalla benemerita Associazione Culturale – Nico Marino di Cefalù.
Gli autori hanno
rintracciato la provenienza dei calcari utilizzati per ornare l’edificio e,
nello specifico, il bellissimo portale manieristico.
Provengono tutti dalle
antiche cave della Rocca del Castello di Termini Imerese, ubicate sul lido.
Grazie alle ricerche dei
detti studiosi, apprendiamo che la costruzione del Palazzo del Magistrato,
ossia, l’attuale sede storica del Municipio di Termini Imerese, fu iniziata
verso la fine del XVI secolo e venne terminata solamente nel primo decennio del
secolo successivo. L’originario fabbricato, denominato con il termine medievale
“Tocco” (appellativo dato agli edifici pubblici con antistante loggiato) era
già esistente nel Quattrocento, con il suo bel portico esterno rivolto verso la
piazza principale.
A partire dalla seconda
metà del Cinquecento, si volle ampliare l’edificio comunale poiché il Tocco,
era alquanto ristretto per poter contenere le sedute del Consiglio Civico. Di
conseguenza, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, l’edificio
subì un radicale rinnovamento ristrutturativo.
Ornamento
del prospetto del Palazzo di Città nel Seicento fino ai giorni nostri
Poiché Patrizia Bova,
Antonio Contino e Giuseppe Esposito, hanno saputo decrittare sapientemente, nel
loro complesso substrato iconologico, gli ornamenti che abbelliscono la
facciata del Palazzo Comunale di Termini, ci piace riportare qui di seguito
alcuni stralci tratti dallo studio da loro effettuato. Il lettore, desideroso
di ulteriori approfondimenti, potrà consultare il detto saggio acquistando il
prezioso volume.
«Nella prima metà del XIX sec., Baldassarre Romano ci ha lasciato una
precisa descrizione di come doveva presentarsi l‘edificio civico seicentesco,
rimasto sostanzialmente immutato sino agli anni 30‘ dell‘Ottocento, prima degli
scempi di cui egli fu testimone oculare: «Il palazzo della città […] era d‘un
bel prospetto, come al presente, con ampia porta ornata di cariatidi e d‘altri
intagli, sulla quale sta tuttavia una grande aquila di marmo tra due stemmi
della Sicilia (sic) e di Termini.
Da
una lunga scala di pietra fuori nel mezzo si entrava in un primo grandioso
salone coperto d‘una superba soffitta di legname con grossissime trave (sic,
travi) d‘abete scorniciate ed intersecate a cassettone, dentro de‘ quali oltre
a un bel rosone eran varie figure ed ornamenti simbolici, lavorati pure
maestralmente (sic, magistralmente) in legno; e nel centro di tale ricca
soffitta pendeva un‘altra più grande aquila con le ali distese e le armi reali
nel ventre.
Da
questo salone passavasi in un piccol‘atrio a destra del quale si entrava in una
grande stanza, ed a sinistra in un‘altra di egual grandezza, ma decorata in
pitture e particolarmente de‘ vaghi freschi di Vincenzo Barbera, che
rappresentano una serie di fatti dell‘antica storia d‘Imera e di Terme». Il
«grande salone» era «largo palmi ventisette (6,95 m) e lungo niente meno che
cento (25,75 m)».
Negli
anni ‘30 dell‘Ottocento, quando si intervenne pesantemente sulla ripartizione
interna degli ambienti, «la superba soffitta fu smantellata e distrutta e la
grande aquila, lo stemma nazionale della Sicilia, che stava lassù maestosa
senza che lo straniero l‘avesse atterrata, fu dalla mano stessa de‘ Terminesi
strappata e fatta piombare giù dall’alto sminuzzolandosi e riducendosi in
pezzi».
Nel
nuovo edificio rettangolare seicentesco furono enucleati gli ambienti interni
(verosimilmente superstiti nelle murature portanti a maggiore spessore) e gli
spazi esterni del «Tocco» medievale.
La
nuova riconfigurazione produsse la totale scomparsa del vano aperto del portico
esterno, prospettante sulla piazza principale, mentre dal lato opposto sorse
un‘ariosa anticamera quadrangolare (con gli aditi alle altre stanze inquadrati
da bei portali manieristici), impreziosita da una loggetta, inquadrante una
veduta del paesaggio termitano, con la riviera, sovrastata dalla gradinata
naturale dei pianori terrazzati pleistocenici e dal monte S. Calogero (o
Euraco) e, in quinta scenica, le Madonie».
«…Il
portale monumentale d‘ingresso, cardine dell‘edificio più rappresentativo della
cittadina demaniale, sinora non è stato oggetto di alcuno studio specifico.
L‘opera,
che si caratterizza per un‘insistita semplicità classicheggiante, con
un‘attenta meditazione sull’antico, esibisce due monolitici pilastri laterali
(poggianti su piedistalli), ornati da cariatidi, acefale e monche degli arti
superiori, fasciate in un panneggio che però lascia in gran parte scoperti i
seni.
Gli
arti inferiori, fortemente stilizzati, sono separati da una scanalatura
verticale (glifo) che nel suo attacco superiore curiosamente simula le parti
pudende. Le due cariatidi, sono sormontate da capitelli di ordine composito,
che sostengono le mensole o gactuna del frontone.
Modanati si presentano gli stipiti e l‘architrave (la cui parte inferiore è ornata al centro da un mascherone, a custodia dell‘ingresso, esibente un grottesco volto maschile barbuto, in parte danneggiato). Il fregio, elegantemente scolpito, all’interno di un ovale mostra l‘iscrizione di ispirazione antiquaria: ORDO ET POPVLVS / THERMITANVS / VRBIS HIMERÆ: che sancisce l‘ideale continuità del senato e del popolo di Himera e di Thermae Himerenses, sino alla Termini seicentesca.
Le
cornici oblique del frontone, spezzate agli angoli inferiori, lasciano libero
uno spazio simmetrico che, essendo disadorno, a nostro avviso, forse era stato
concepito per ospitare un duplice abbellimento (ad es. gli stemmi che furono
invece collocati in una posizione più elevata).
Al
di sotto della parte apicale del frontone, campeggia l‘elegante scultura che
raffigura il lato concavo della valva superiore del Pecten jacoboeus, mollusco
anequivalve dalle tipiche coste radiali. Infine, al di sopra del frontone,
disposti simmetricamente ai lati, vi sono due sculture raffiguranti dei vasi
fumanti.
Nel
piano nobile, quattro ariosi finestroni dell‘edificio seicentesco, si aprono
nella facciata di piazza in Pietra bianca di Termini. I finestroni seicenteschi
sono anch‘esse ornati da stipiti ed architrave modanati, che fanno pendent con
il portale, sormontati dal fregio e dalla cornice.
Gli
elementi litici di calcare bioclastico, macroscopicamente mostrano piccole
druse o vene di calcite spatica e, a luoghi, inglobano frammenti centimetrici
di selci rosso-brunastre (come nel portale). Queste litologie vanno ascritte
alla facies a frammenti di Rudiste (RFC), caratterizzata da un deposito
bioclastico a Rudiste, granulo-sostenuto, prodotto da flussi gravitativi.
La
struttura del portale, in passato è stata interessata da un lieve quadro
fessurativo con lesioni, talvolta associate a piccoli cedimenti e rotazioni. I
punti di sconnessione, sia all’interno del materiale lapideo che nella
giunzione con la muratura, furono ritoccate con una poco invasiva preparazione
a stucco.
Le
riattivazioni, in tempi più recenti, con molta imperizia, sono state riempite
adoperando addirittura un‘insulsa malta cementizia grigia mista a sabbia. Al di
sopra del portale, campeggia centralmente la targa celebrativa datata 1642,
terminus antequem relativamente al completamento delle opere durante il regno di
Filippo IV di Spagna e III di Sicilia, auspici il viceré, Juan Alfonso Enriquez
de Cabrera, Almirante de Castilla ed il civico magistrato.
L‘iscrizione,
è racchiusa in un elegante cartiglio bislungo, dalle ampie volute, ornato ai
lati da due profili femminili e, al centro del bordo inferiore, da una
conchiglia. Auspice il detto viceré, analogamente al palazzo civico di Termini
Imerese, furono condotte, e completate nel 1643, le opere di ingrandimento e di
abbellimento del prestigioso edificio senatoriale di Catania, anche qui
successive ad una prima fase, ultimata nel 1622.
Al
culmine del prospetto, si staglia l‘aquila, con l‘insegna sabauda sul ventre,
che sostituì l‘originale emblema regio seicentesco, costituendo un evidente e
stridente anacronismo, per cui è del tutto fuorviante associarla all’opera
monumentale.
L‘originario
apice della composizione architettonica, l‘aquila regia, invece, si inseriva
coerentemente nel contesto storico che vide le fasi conclusive dei lavori
relativi all’edificio civico.
La
stessa precitata iscrizione celebrativa, con tono magniloquente allude
all’aquila, emblema regale per eccellenza, che allegoricamente protegge la
novella Himera dalla minaccia di pirati nordafricani, paragonati ai cartaginesi
distruttori della colonia greca nel 409 a. C.
Simmetricamente
disposti ai lati, campeggiano due stemmi a rilievo, adornati da un elegante
cartiglio con volute, conchiglia e due figure femminili stilizzate ai lati.
L‘emblema
della città demaniale di Termini, posto sul canto destro (per chi guarda),
mostra in primo piano, tre figure (se fossero stati presenti gli smalti
sarebbero stati d’oro su campo d’azzurro): la ninfa Himera con la cornucopia,
il poeta Tisia detto Stesicoro e la capretta,sovrastate dal monte Euraco, sulla
cui vetta si staglia la figura ingigantita di S. Calogero eremita.
Nel
canto sinistro (per chi guarda), invece, contrariamente a quanto scritto dal
Romano, non è presente lo stemma della Sicilia, bensì il blasone, ornato da
cimiero e corona, con le insegne del viceré Juan Alfonso Enríquez de Cabrera e
della viceregina Luisa o Aloisia Sandovàly Roxas…».
Pertanto, il nuovo
edificio seicentesco a pianta rettangolare ebbe questa nuova disposizione:
scomparve il vano aperto
del portico esterno rivolto verso la piazza principale;
dal lato opposto sorse una
luminosa e ariosa sala quadrangolare da cui si dava adito agli altri ambienti,
i cui ingressi, sono tuttora ornati da eleganti portali in stile manieristico;
fu ricavata una loggetta
prospettante verso la splendida cornice del Monte S. Calogero (o Euraco) e la
catena delle Madonie.
Dallo studio predetto
apprendiamo ancora che tra il 1910 e il 1912 l’edificio fu ristrutturato
pesantemente, interessando sia il prospetto principale che quello laterale. In
realtà, oltre ad aggiungere un secondo piano (che fu sormontato dal nuovo tetto
ad embriciato per raccogliere le acque pluviali), fu inserito un corpo di
fabbrica nella parte retrostante.
Il rifacimento condusse anche alla demolizione dell’elegante abbaino. Tale rimaneggiamento sfalsò l’originaria configurazione dell’edificio che da quella volta ha sempre mantenuto l’attuale aspetto.
Bibliografia
e sitografia:
Giuseppe
Navarra “Termini com’era” GASM, 352 pp. 2000.
Giuseppe
Longo 2017, “Proclama” del 1876 di Giuseppe Patiri per la
Società del Carnovale, in Termini Imerese, Cefalunews, 7 ottobre.
Patrizia
Bova,
Antonio Contino, Giuseppe Esposito, L’estrazione e l’uso
delle “brecce a rudiste” (Cretaceo sommitale) in Termini Imerese (PA) nei
secoli XVII-XX, in: Gabriele Marino e Rosario Termotto (a cura di), Arte e
Storia delle Madonie - Studi per Nico Marino, voll. VII-VIII, Atti della VII e
VIII edizione, Cefalù - Sala delle Capriate, Palazzo del Comune, Piazza Duomo,
4 novembre 2017 e 3 dicembre 2018, pp. 119-141.
Giuseppe
Longo 2018, Una scorrazzata… di una “corazzata” carnevalesca
tra Palermo e Termini Imerese, nei mitici anni Cinquanta, Cefalunews il 22
gennaio.
Giuseppe
Longo 2018, Il binomio Palermo-Termini, tra porte civiche, manifestazioni
carnascialesche e “gustose” leggende metropolitane, Cefalunews, 22 dicembre.
Giuseppe
Longo 2019, “La rivincita della “vera” storia del Carnevale
Termitano”, Cefalunews, 19 gennaio.
Giuseppe
Longo 2019, “Riflessioni sulla festa carnascialesca di
Termini Imerese l’erede indiscussa dell’antico Carnevale di Palermo”,
Cefalunews, 4 febbraio.
Giuseppe
Longo 2020, “Una eclettica figura di studioso siciliano:
Giuseppe Pitrè”, Cefalunews, 8 marzo.
Giuseppe
Longo 2020, “I nanni di Carnevale trapiantati da Palermo a
Termini Imerese”, Cefalunews, 11 marzo.
Giuseppe
Longo 2020, I Nanni del Carnevale di Termini Imerese a
diporto alla “lavata râ lana”, Cefalunews, 29 aprile.
Foto
di Copertina: © Palazzo Comunale, sede storica, per
gentile concessione di Antonino, Surdi Chiappone.
Foto
a corredo dell’articolo: a cura di Antonino, Surdi Chiappone e
Francesco La Mantia.
Didascalie:
Vincenzo La Barbera (1577
circa - 1642), Spettacolo teatrale.
“COMICA GAUDEBAS, LUDIS,VARIISQ ^ CHOREIS MUSA, TUO LAETIS PRINCIPE STESICORO“.
Cammara picta”, sede storica del Municipio di Termini Imerese.
Vincenzo La Barbera (1577
circa - 1642), Stenio si oppone alla rapacità di Verre. “DUM SUA LARGITUS VERRI
MONUMENTA, NEGAVIT/ URBIS AIT, SATIUS QUAM DARE, VELLE MORI” “Cammara picta”,
sede storica del Municipio di Termini Imerese.
Cartolina Palazzo Comunale
di Termini Imerese (PA), fine ‘800 inizi ‘900, per gentile concessione di
Francesco La Mantia.
Cartolina, Termini Imerese
(PA), Piazza Duomo e Municipio fine 1910, inizi 1920, per gentile concessione
di Francesco La Mantia.
Cartolina, T.ermini
Imerese (PA), Piazza Duomo e Municipio anni ‘1950 del XX secolo, per gentile
concessione di Francesco La Mantia.
Foto del prospetto del
Palazzo Comunale sede storica:
Foto © per gentile concessione di Antonino, Surdi Chiappone.
Giuseppe Longo
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