Cefalunews,
19 gennaio 2019
A Termini Imerese, come ci
racconta il Professore e Giornalista Giuseppe Navarra (1893-1991), il Carnevale
non finiva più. Cominciava il giorno dopo l’Epifania e terminava col Martedì
grasso. In realtà, lo stesso giorno dell’Epifania, nella parte bassa della
città termitana, si sentiva il suono della brogna ed era il segnale dell’inizio
della grande festa carnascialesca.
Nel corso di questo
gioioso, innocente e lieto periodo, vi erano e sono tuttora inframmezzati anche
i famosi quattro giovedì che precedono il Carnevale: “lu iòviri ddi li
cummari”, “lu iòviri ddi li parenti”, “lu iòviri du’zzuppiddu” e il “lu iòviri
rassu” (N.d.r. il giovedì delle comari, il giovedì dei parenti, il giovedì del
diavolo e il giovedì grasso), ossia, in riferimento al quarto giorno della
settimana, per l’appunto il giovedì, e con chiara ed esplicita allusione alla
consumazione delle variate squisitezze della cucina siciliana e alla
pappatoria.
Infatti, in questo lasso
di tempo si dava l’avvio al libero sfogo degli istinti mangerecci, per il consumo
dei piatti prelibati che comprensibilmente erano vietati durante i quaranta
giorni della Quaresima.
Il calendario
folcloristico variava a seconda dei luoghi, tuttavia i festeggiamenti
dell’intera collettività, si concentravano nei giorni clou, vale a dire: il
Giovedì Grasso, domenica, lunedì e il martedì grasso, quest’ultimo giorno,
decretava la conclusione dei “sette giorni grassi di Carnevale”, anticipando
così il mercoledì delle Ceneri, dal momento che nella liturgia cattolica,
segnava l’inizio della penitenza, ovvero della Quaresima.
Nello stesso modo, ma con
usi diversificati anche nella parte sud-orientale della Sicilia, ovvero, nella
Contea di Modica, nel XVII sec. il Carnevale (denominato anche carnasciale
oppure carruvali), veniva festeggiato non prima del dodici gennaio, proprio per
rispetto delle numerosissime vittime del terremoto che colpì la Val di Noto nei
giorni nove e undici del 1693, e che devastò gran parte la zona orientale del
Regno di Sicilia.
I giorni più noti dei
festeggiamenti, erano e sono tuttora i tre ultimi, e vengono denominati dalla
parola sdirri, un’alterazione del vocabolo francese dernier (ultimo),
sdirrumìnica, sdirriluni, sdirrimarti, mentre in riferimento alla sera del
martedì, veniva e vien detto sdirrisira.
Nella Palermo degli inizi
del Novecento del secolo scorso oltre ai costumi carnascialeschi dell’Oca, del
“Barone di Carnevale”, di “mamma Cucchiara”, di “l’ammucca baddottuli”, del
“dottore”, dello “zanni”, del “barone”, della “morte”, della “vecchia”, dello
“spagnuolo”, del “turco”, dell’“inglese”, e della “Maschera dello Scalittaru”,
ed altre ancora descritte da Francesco Maria Emanuele e Gaetani, (1720-1802),
Marchese di Villabianca, ci fu anche quella del Nannu e della Nanna (del Nonno
e della Nonna).
Tuttavia, oggi, la figura
della Nanna è rimasta in auge solamente a Termini Imerese, infatti, le due
maschere termitane ossia del Nannu e Nanna, costruite nella seconda metà
dell’Ottocento da un ignoto artigiano locale, sono in realtà gli eredi diretti
dell’antico carnevale di Palermo.
Dei costumi e delle
maschere palermitane ed altre tradizionali usanze popolari ce ne parla,
abbondantemente nel suo “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo
siciliano” l’antropologo Giuseppe Pitrè (1), e dobbiamo tanto a quest’uomo per
averle amorevolmente e sistematicamente raccolte, custodite e tramandate a
tutt’oggi.
Il Pitrè, si avvalse di
diversi collaboratori per la stesura del suo “capolavoro” di antropologia, e
“…come era sua abitudine prima di richiedere una collaborazione ai sui
corrispondenti, li sottoponeva ad un accurato controllo…” (2).
In realtà, una prova
tangibile di cotanta autorevolezza fuori cortina, la troviamo nella figura del
paletnologo ed etnologo termitano, Giuseppe Patiri, il quale per natura fu,
come ce lo descrive la pronipote Vilma Scaffidi: «Un uomo meticoloso e preciso
fino al parossismo, sia nella vita privata e sia nel suo lavoro, specialmente
durante le fasi delle sue ricerche storiche ed antropologiche», quindi, chi più
di lui poteva essere il candidato prescelto a corrispondente di Termini Imerese
per la monumentale opera di Giuseppe Pitrè, allora in nuce?
Quest’ultimo, che
rammentiamo, fu il più importante raccoglitore e studioso europeo di tradizioni
popolari del XIX secolo e, in Italia, il fondatore della scienza folcloristica.
Il Pitré, fu un assiduo
corrispondente con i maggiori studiosi del mondo dell’antropologia. Come ebbe a
dire l’antropologo, sociologo, filosofo e accademico Carlo Tullio Altan
(1916-2005): “Il Pitrè era uno studioso dotato di uno spirito scientifico
aggiornato e rigoroso, sia per quanto riguardava la precisione filologica dei
documenti scritti, sia per quanto riguardava l’esattezza delle osservazioni sui
dati empirici. Si può dire che il Pitrè manifestò nella sua opera il meglio
della tradizione positivistica, cui l’ambito scientifico derivatogli dalla sua
preparazione medica lo legava, senza lasciarsi influenzare dalle nuove mode
metafisiche dell’evoluzionismo”.
Purtroppo, in questi
ultimi venti anni la figura di Giuseppe Patiri è stata a Termini Imerese,
relegata nei meandri impercorribili dell’oblio, quasi a nascondere il suo
operato nel campo dell’etnoantropologia termitana, contribuendo a far conoscere
le tradizioni popolari di Termini Imerese, attraverso le monumentali opere di
Pitré.
Ventuno anni fa, come un
fulmine a ciel sereno, si ebbe la scoperta dei certificati di pagamento della
Società del Carnevale e da quel momento si ebbe l’inizio della riscoperta del
Patiri etnoantropologo.
Negli ultimi due anni,
grazie alla dedizione della pronipote Vilma Scaffidi, è stato un susseguirsi di
scoperte documentarie che hanno permesso di mettere in evidenza il ruolo che
ebbe il Patiri nella storia del carnevale termitano e, nello specifico, della
nascita del primo comitato organizzatore (1876).
Nonostante ciò (o forse
proprio per questo), curiosamente, abbiamo potuto notare una forma di ripulsa
ad accettare il dato di fatto che era supportato dalle evidenze documentarie e
l’aggrapparsi tenacemente alle dicerie presumibilmente tramandate, ma mai
avallate da un minimo di riscontro oggettivo.
Ci sembra quasi che le
nuove scoperte documentarie abbiamo generato una sorta di paura nei confronti
delle novità archivistiche che venivano a gettare lo scompiglio nel mare
placido delle tradizioni (o presunte tali). Nonostante ciò, credo che ogni
benpensante non può essere d’accordo con noi nell’avallare la fondatezza del
dato documentario, che non può che trionfare sulle storie farlocche e prive di
fondamento scientifico che, purtroppo, sono state spesso propinate al colto e
medio pubblico.
Tali leggende
metropolitane farebbero sicuramente sorridere (o ridere?) i rappresentanti del
mondo accademico e gli studiosi della storia dell’etnoantropologia. Oggi, più
che mai, facciamo appello ai nostri dirigenti locali, per attivare tutte le
procedure possibili affinché finalmente sia inserito nelle scuole di ogni
ordine e grado lo studio dei “classici dell’etnoantropologia”.
Infatti, la conoscenza
approfondita delle nostre tradizioni evita la loro scomparsa nella memoria
storica del siciliano e, quindi, scongiura la scomparsa di un intero popolo
(che nella storia fu una “nazione” vera e propria).
Tutto ciò, a mio avviso,
scongiurerebbe la diffusione e perpetuazione di mere leggende metropolitane che
vorrebbero avallare un eccessivo campanilismo, ormai desueto. E la scomparsa
(finalmente!) di tali leggende metropolitane e degli epigoni che le hanno
sinora sbandierato, tentando inutilmente di oscurare ciò che i “grandi”
antropologi hanno rigorosamente analizzato e prodotto editorialmente, mediante
validi e inconfutabili strumenti di ricerca.
Note:
(1) Giuseppe Pitrè,
folclorista italiano, fu il più importante raccoglitore e studioso europeo di
tradizioni popolari del XIX secolo e, in Italia, il fondatore della scienza
folcloristica.
Medico di professione, e
folclorista per vocazione, sin dagli anni giovanili intraprese un’intensa
attività di raccolta di ogni possibile materiale: canti, proverbi, giochi,
usanze, indovinelli e soprattutto fiabe. Questo immane sforzo cominciò a
concretizzarsi, a partire dal 1870, nella realizzazione di una monumentale
opera in 25 volumi, la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane.
Di questa serie fanno
parte anche i quattro volumi di Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani,
editi nel 1875 (con lo stesso titolo, per i tipi della Donzelli, è stata
pubblicata nel 2013 la traduzione integrale italiana con il testo originale a
fronte), cui si aggiunge, nel 1888, un quinto volume di Fiabe e leggende
popolari siciliane, anch’esso ora ripubblicato da Donzelli con la traduzione
integrale e il testo siciliano a fronte, e da cui il presente volume deriva.
Assiduo corrispondente dei maggiori studiosi del mondo, e, nel 1910, l’Università di Palermo, su proposta di Giovanni Gentile, gli affidò la prima cattedra di Demopsicologia, disciplina di cui fu il riconosciuto fondatore.
Nel 1914, fu nominato senatore del Regno per i suoi meriti scientifici. Fu presidente della Società siciliana per la Storia patria, dal 1915 fino al giorno del suo trapasso.
(2)
Alessandro D’Amato, Dialoghi Mediterranei, n.28, novembre 2017.
Bibliografia
e sitografia:
Brafa
Misicoro Giorgio (a cura di), 2003, Lettere di Serafino
Amabile Guastella a Giuseppe Pitrè, Biblioteca Civica “G. Verga” di Ragusa - Museo Etnografico “G. Pitrè” di Palermo, Ragusa-Palermo.
Carlo
Tullio Altan, “La sagra degli ossessi. Il patrimonio
delle tradizioni popolari italiane nella società settentrionale”, Sansoni Editore 1972.
Serafino
Amabile Guastella “L’antico Carnevale della Contea di
Modica”, introduzione di Natale Tedesco, Edizioni della Regione Siciliana,
Palermo, 1973.
Giuseppe
Navarra “Termini com’era” GASM, 352 pp. 2000”.
Giuseppe
Longo 2017, “Il Carnevale di Termini Imerese non è il più
antico di Sicilia”. Cefalunews, 6 marzo.
Giuseppe Longo 2018, “Il quartiere fuori Porta Palermo e l’infondata “leggenda” dell’origine del Carnevale di Termini Imerese”. Cefalunews, 24 agosto.
Giuseppe Longo 2018, “Il binomio Palermo-Termini, tra porte civiche,
manifestazioni carnascialesche e “gustose” leggende metropolitane”. Cefalunews,
22 dicembre.
Foto a corredo dell’articolo: Carnevale di Termini Imerese 2006 Ph. P. Vincenzo.
Giuseppe Longo
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