Giornale
del Mediterraneo, 27 agosto 2024
Palermo vanta un carnevale
ufficialmente organizzato ed avallato dalle autorità viceregie, le cui radici
risalgono almeno al Cinquecento. Del resto, è impensabile che nell’antica
capitale del Regno di Sicilia, non sia sorto il carnevale per eccellenza,
veramente degno dell’«Isola del Sole».
Eccovi alcuni esempi. Nel
“diario della città di Palermo”, dal 1500 al 1613, opera manoscritta di Filippo
Paruta e Niccolò Palmerino, che si conserva della Biblioteca Comunale di
Palermo, vi sono alcune interessantissime notizie sul carnevale della «città
Felice». Il detto diario fu pubblicato da Monsignor Gioacchino di Marzo nel primo
volume della Biblioteca Storica e Letteraria di Sicilia edito nel 1869 e le
seguenti notizie sono riportate alle pagine 44 e 45.
Il Giorno 8 febbraio 1572,
in occasione della venuta del «Serenissimo prencipe D. Gioanni d’Austria,
figlio naturale della Maestà di Carlo V imperatore, fratello del re Filippo II,
giovane di età d’anni 22», che fece la sua solenne entrata «ad ore ventuna» con
il suo seguito di «550 cavalieri in sua compagnia».
Coincidendo la visita
dell’illustre personaggio, con il periodo carnascialesco, i consueti
festeggiamenti acquistarono uno sfarzo particolare.
Ecco cosa scrissero i due
cronisti Paruta e Palmerino: «Martedì, l’ultimo di carnevale, la città fece a
sue spese una bella e ricca sortita, dove ci foro 13 quatriglie [quadriglie]
riccamente vestite, e ci giocò Sua Altezza. E continuarono in festa in vedere
Monreale e S. Martino e tutti lochi degni dentro e fuora Palermo».
Un altro riferimento alle
feste di carnevale, ed in particolare alle commedie che si tenevano in Palermo,
si ritrova il 10 febbraio 1578 (cfr. Di Marzo, op. cit., p. 84).
«A 10 detto, lunedì, ultimo di carnevale. Si fece una comedia in casa
dello spett. sig. D. Vincenzo Bongiorno capitano della città; dove, avendoci
andato l’ecc.a del sig. Marco Antonio Colonna viceré e l’ecc.a della signora D.
Felice sua moglie e diversi signori, fu tanto disonesta, che a menza comedia se
ne andò detto viceré con la viceregina e molti signori. E l’indomani disterrò
[esiliò] di questa città (che per sei mesi non ci possano entrare) detti
recitanti»
Nel manoscritto di Valerio
Rosso, «Varie cose notabili occorse in Palermo ed in Sicilia, 1587-1601»,
relativamente alle feste carnascialesche del 1595 si legge: «Nell’anno 1595,
nel tempo di carnevale. In Palermo nel publico teatro s’é recitata una comedia
da’ Panormitani, in presenza del marchese di Geraci presidente» (cfr. Di Marzo,
op. cit., p. 284).
Potremmo continuare
riferendo delle festività carnascialesche del Seicento e del Settecento
palermitano, ma ci asteniamo per non tediare il lettore. E senza tema di poter
essere smentiti, il carnevale organizzato di Palermo proseguì sotto il Regno
borbonico e dopo l’annessione al Regno d’Italia.
Questo carnevale
palermitano, durato oltre quattrocento anni, è stato indubbiamente fonte di
ispirazione e carro trainante, anche per la vicina Termini Imerese, al quale,
volente o nolente, dovette attingere linfa vitale per le proprie tradizioni,
ereditando o rielaborando costumi e usanze che negli ultimi venti anni, per una
distorta mentalità campanilistica si è voluto rivendicare come cosa propria.
Anche Mezzojuso ha preso
ispirazione dal carnevale palermitano. Un tipico esempio di importazione tout
court è la figura di Mastro di Campo un tempo celebrata nell’antico Carnevale
di Palermo.
Infatti, è l’incontro tra
Pulcinella e “Mastro di Campo”, una sorta di pantomima chiamata “Giuoco del
Castello” o “L’ Atto di Castello”, da cui deriva l’attuale festa popolare e
che, da oltre due secoli, si svolge nella cittadina in provincia di Palermo.
La nostra Termini Imerese
fu anch’essa influenzata dalle usanze palermitane, tant’è che, Giuseppe Patiri
e compagni, sulle orme dell’antica Società del Carnevale di Palermo (la cui
sede era in via Maqueda, al civico 287, nel Palazzo del Barone Grasso,
purtroppo demolito nel 1929), la fecero sua istituendola, nel 1876, anche nella
cittadina imerese.
Successivamente, anche un
ignoto artigiano si appropriò dell’idea dei costumi palermitani, realizzando
nella seconda metà dell’Ottocento la coppia di maschere del «Nannu» e della
«Nanna», a somiglianza di quelle originarie di Palermo che, ricordiamo,
circolavano sin dall’Ottocento su un cocchio durante la sfilata carnascialesca
lungo Corso Vittorio Emanuele.
Sì, perché le maschere del
«Nannu» e la «Nanna» sono nate proprio lì, nel capoluogo.
Il Patiri etnoantropologo
contribuì, quindi, all’istituzione per la prima volta a Termini Imerese di una
“Associazione” per l’organizzazione dell’antico carnevale, mutuandola dalla sua
originaria versione palermitana della “Società del Carnevale”.
Ma il fatto più rilevante
è che il Patiri fu il referente ufficiale di Giuseppe Pitrè, quest’ultimo
consacrato tra i grandi studiosi italiani dell’Ottocento e autore della
conosciutissima Biblioteca delle tradizioni popolari, composta di ben venticinque
volumi.
Per la realizzazione di
questa monumentale opera, furono setacciate e raccolte mediante una ricerca
meticolosa e a cura di illustri ed esimi collaboratori del Pitrè, le tradizioni
di svariati centri isolani, descrivendone le usanze e i costumi, dalle più o
alle meno conosciute e studiate, coinvolgendo ben 172 Comuni siciliani; quindi
anche il nostro Patiri che faceva parte di questa “commissione scientifica”
diede il suo prezioso contributo.
Premesso questo, dobbiamo
prendere atto di un fatto alquanto curioso. In realtà, da circa 20 anni a
questa parte, nelle cronache del Carnevale termitano non è mai emersa
l’importante figura del Patiri, quasi ad oscurare volutamente il suo ruolo di
etnoantropologo.
Da oltre venti anni,
circola una vera e propria “etichetta pubblicitaria” che strombazza per verità
sacrosanta che il carnevale termitano sarebbe “il più antico di Sicilia”,
slogan che ha rintronato le orecchie dei termitani e non, divenendo una sorta
di tormentone, ormai logoro.
E che sia stato un mero
slogan, costruito «a tavolino», si evince dall’assoluto silenzio in proposito
prima del suo esordio.
Del resto, in una
relazione sullo svolgimento della kermesse, redatta nel lontano 1963, dai
compianti Cav. Vito Salvo e dall’allora Sindaco di Termini Imerese, dott.
Francesco Candioto, non vi è ombra di tale presunto primato.
Ma i due, erano dei veri
galantuomini e giammai si sarebbero sognati di escogitare un simile espediente
per pubblicizzare, nel circuito nazionale, il nostro carnevale cittadino.
Per concludere, dato che è
iniziata una sorta di «caccia alle streghe», per tentare di mettere in
discussione quanto Giuseppe Patiri relazionò a Giuseppe Pitrè (cioè che il
carnevale termitano è una filiazione di quello palermitano), vi esorto a farmi
pervenire le vostre proficue «esplorazioni» bibliotecarie, sarei ben lieto di
pubblicarle e annoverarvi, se sarà il caso, tra i nuovi personaggi in cerca di
notorietà…
Bibliografia
e sitografia:
Giuseppe
Longo 2016, I “Nanni” dei carnevali di Palermo e Termini
Imerese, Cefalunews, 5 febbraio.
Giuseppe
Longo 2017, “Il Carnevale di Termini Imerese non è il più
antico di Sicilia”, Cefalunews, 6 marzo.
Giuseppe
Longo 2018, “Il quartiere fuori Porta Palermo e l’infondata
“leggenda” dell’origine del Carnevale di Termini Imerese”, Cefalunews, 24
agosto.
Giuseppe
Longo 2018, “Il binomio Palermo-Termini, tra porte civiche,
manifestazioni carnascialesche e “gustose” leggende metropolitane”, Cefalunews,
22 dicembre.
Giuseppe
Longo 2019, “La rivincita della “vera” storia del Carnevale
Termitano”, Cefalunews, 19 gennaio.
https://carnevaledipalermo.blogspot.com/
Foto
di copertina: “La Tubbiana”. Giuseppe Pitrè “La famiglia,
la casa, la vita del popolo siciliano” Forni Editore, 1980.
Giuseppe Longo
www.gdmed.it
In origine, pubblicato su Cefalunews,
il 4 febbraio 2019.